Bergoglio ci educa ad andare al cuore del Vangelo. Sotto le ferite da curare il bene che aspetta di emergere
Se penso all’inizio della storia dell’Arsenale, non mi è stato facile guardare l’altro come lo guarda Dio. È stato un giovane magrebino a puntarmi il dito contro, una sera che si parlava di pace, e a dirmi «Tu Olivero, questa notte dove dormi?» Mi ha fatto conoscere la durezza della vita degli immigrati a Torino, dormivano ammassati alla stazione. L’Arsenale era ancora un rudere, non c’era posto per nessuno, ma quel dito puntato e quegli occhi mi hanno scavato dentro. Prima che io guardassi lui e fossi capace di riconoscere le sue ferite, lui ha scavato dentro me e mi ha aiutato a vedere con occhi nuovi. Mi ha restituito il valore della persona nella sua interezza. Ogni persona è unica nella sua storia e nella sua fatica. La ferita di uno non è la ferita di tutti, è la "sua" e chiede un’attenzione particolare, una cura attenta, un tempo dedicato. Non è il credo politico o religioso, il colore della pelle, la nazionalità e nemmeno che quella persona sia meritevole di essere aiutata o sia irriverente, scostante, ingrata a rendermela vicina, è semplicemente il fatto che è una persona il cui sguardo si è incrociato con il mio.
Così è successo al samaritano sulla strada da Gerusalemme a Gerico e quell’incontro gli ha fatto scoprire la fraternità. L’altro, diverso da me, non è più un nemico da cui difendermi ma un uomo da conoscere, da incontrare e da cui lasciarmi incontrare, una persona da amare. Poco per volta la nostra casa si è aperta all’accoglienza di quelli che sui giornali sono chiamati carcerati-immigrati-prostitute-ragazze madri-senza dimora. Varcando la nostra porta ci hanno portato il mondo in casa, ci hanno aperto la mente, il cuore; ci hanno fatto vedere la realtà con occhi diversi e capire quante potenzialità di bene e di vita avevamo dentro sia singolarmente che come comunità. Questi fratelli e sorelle più in difficoltà ci hanno proprio preso per mano e ci stanno portando dove noi non avevamo previsto, ma dove Dio sa. Ci hanno educato a non nasconderci dietro alle idee ma a lasciarci interpellare dall’imprevisto che ogni volta ha un volto. Sono tante le ferite dell’umanità di oggi da curare ma c’è tanto bene che aspetta solo di emergere.
Gli Arsenali sono proprio questo, luoghi di "scambio" dove milioni di persone aiutano e ricevono aiuto da milioni di persone. È la restituzione di tempo, intelligenza, cuore, risorse, capacità che si trasforma in un volano di bene. È il nostro metodo per curare e fasciare le ferite di questo tempo: fame, miseria materiale e spirituale, ingiustizie, solitudine, giovani generazioni disorientate. Anche grazie a tutti loro oggi le nostre case sono monasteri metropolitani, luoghi dove preghiera, accoglienza, cultura si intrecciano a servizio di tutti. Quando ci impastiamo con Dio e con la gente, ritroviamo la freschezza del Vangelo, torniamo ad essere persone: lievito nella pasta. Il nostro tempo ha bisogno di persone, di comunità semplicemente cristiane.