Opinioni

Nuovi italiani e futuro comune. Sorridere l'Italia con amore bambino

Daniele Mencarelli giovedì 6 giugno 2019

La scuola dei miei figli, come d’abitudine, ha messo in piedi la recita di fine anno scolastico. Lo spettacolo vero di solito non sono tanto i bambini sul palco, i quali spero mi scuseranno, ma i genitori in platea, alle prese con mille schermi digitali dalle varie dimensioni, tutto pur di immortalare la performance dei propri figli, esattamente come quella dell’anno prima, e di quello che verrà. Normalmente, si assiste a queste recite con lo stesso stato d’animo di chi affronta un pena che sa di dover scontare, assolutamente lieve sia chiaro, ci si mette seduti e si attende il turno del proprio pargolo, quando quel momento arriva ci si emoziona naturalmente, ma il resto è quieta sopportazione, spero nessuno me ne voglia.

Quest’anno, però, un imprevisto reclama attenzione: sul palco si esibisce un bambino color cioccolato, la maestra gli ha affidato una poesia, o qualcosa di simile, dedicata al prossimo 2 giugno, alla festa della nostra Repubblica. La poesia è brutta, e il bambino non sembra dotato di grandi doti recitative, tantomeno conosce la punteggiatura. Eppure c’è qualcosa, qualcosa di non scritto, né previsto da alcuno. Il bambino color cioccolato, ogni volta che nello sfortunato testo compare una parola, smette la recita a pappagallo e si accende di amore puro, glielo si legge negli occhi, nella voce che si alza e riempie di senso. La parola è Italia. Il bellissimo nome del nostro Paese bellissimo. E il bambino color cioccolato, ogni volta che gli tocca di ripetere quel nome, Italia, diventa più alto di quel che è, quasi ci si arrampica sopra. Italia.

Quando la recita è finita, come ogni anno, si assiste al ricongiungimento dei bambini ai loro genitori, abbracci a baci, urla di gioia, complimenti più o meno meritati. Poco distante dalla mia famiglia, ecco il bambino color cioccolato correre in braccio al padre e alla madre. Io sono sul punto di andare da lui per ringraziarlo, non so bene per cosa, ma il sentimento è quello di gratitudine profonda. Alla fine rinuncio, anche perché gli occhi, improvvisamente desti, sono presi a guardare con attenzione questo popolo di genitori e figli, corrono dietro al bambino slavo, biondo chiarissimo, con la maglietta giallorossa di Daniele De Rossi, poi s’incollano su un altro, con gli occhi a mandorla, che a voce alta, in perfetto dialetto romanesco, cerca molto probabilmente un familiare, o chissà chi altro.

Questi bambini sono figli d’Italia, anzi, nella loro adesione alla nostra identità mostrano qualcosa che noi stessi sembriamo aver perso. Un entusiasmo dimenticato, un senso di novità e di avvenire. La gioia di essere italiani. Sono la prova che nel gioco della vita non vince chi pensa a difendere attraverso l’esercizio dell’odio, della divisione gli uni dagli altri, ma chi è pronto a innamorarsi senza riserva alcuna, con la voglia di appartenere a un destino comune, perché sentirsi parte di qualcosa, che sia una famiglia o una patria intera, è quello cui ambisce ogni cuore umano.

Come linfa fresca, saranno proprio questi nuovi figli, di altri colori e terre, a rinnovare l’amore per il nostro Paese, un amore bambino, pronunciato a voce alta. Testimone, su pelle color cioccolato, di tanta italica fierezza.