Opinioni

La commozione e lo stupore. Noi sorretti da quell'affido

Marina Corradi domenica 24 marzo 2013
Si resta in silenzio, divisi fra la commozio­ne e lo stupore, davanti a quei due uomi­ni vestiti di bianco uno di fronte all’altro, nel­l’eliporto di Castelgandolfo. Si resta zitti, per­ché appena due mesi fa questa immagine sa­rebbe stata impensabile. Nei secoli non è av­venuto mai un simile incontro, fra un Papa e il suo predecessore. Incontro straordinario, che i grandi artisti che hanno lasciato le loro firme a San Pietro avrebbero immortalato, se fosse avvenuto ai tempi loro, in tele podero­se e gravi; invece in questo pomeriggio di marzo non ci sono che le telecamere a fer­mare l’istante, con tecnologica e fredda ob­biettività, dell’abbraccio di Castelgandolfo. E tuttavia quell’allargare Papa Francesco, ap­pena sceso dall’elicottero, le braccia in un ge­sto largo, del cuore ("Padre, buongiorno!") verso Benedetto è cronaca che ha già la den­sità della storia; l’abbraccio vigoroso dell’ar­gentino alla figura magra e fragile di Ratzin­ger stampa anche visivamente, agli occhi di noi che guardiamo, un passaggio di consegne tra due uomini che, in Cristo, si vogliono be­ne e fanno, uno sull’altro affidamento. Si affida a Francesco, Benedetto, come aven­dogli messo fra le braccia la Chiesa; si affida a Benedetto Francesco, nella certezza della forza di quel 'servizio della preghiera' cui il Papa emerito si è votato. E noi che siamo il popolo di Dio ci sentiamo presi dentro quel­l’abbraccio, quel passaggio di consegne; per quanto mai vista nella storia sia l’immagine che ora tutte le tv del mondo rilanciano, ci sentiamo tranquilli, sorretti, affidati. Proprio tra le ultime parole pronunciate in San Pietro, Benedetto aveva citato Romano Guardini: «La Chiesa – aveva detto conge­dandosi dai cardinali – non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere viven­te, trasformandosi. Eppure, nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cri­sto». La Chiesa una realtà vivente che nel corso del tempo, attraversando il tempo può assume­re forme nuove – come ieri a Castelgandolfo, nell’abbraccio di Francesco e Benedetto; ep­pure, nella sua natura, rimane sempre la stes­sa: corpo di Cristo. E vive. Chiunque la sera del 13 marzo fosse in piazza San Pietro, nella folla che accorreva dopo la fumata bianca, nel martellare gioioso delle campane di Roma; chiunque abbia visto quanta gente veniva a abbracciare, in un uomo che nemmeno conosceva, il Papa non può dubitare di quanto, sotto la crosta di un’apparente implacabile secolarizzazione di massa, viva ancora, magari agli uomini stessi nascosta, la fede, e la domanda, antica, di un padre – nel Vescovo di Roma. Benedetto in quel congedo citava di nuovo Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». Non è forse quello che abbiamo visto in questi giorni, a partire dall’attimo in cui il nuovo Papa ha invitato la folla a pregare, e, in un silenzio assoluto, la piazza immensa ha ubbidito? Quei due ieri, il loro grande abbraccio, le poche parole scambiate in un italiano dall’inflessione argentina e tedesca. Davanti alla Madonna poi, insieme, in ginocchio, a pregare. Dentro quella forza invisibile che il mondo e le telecamere non vedono; eppure è, e opera, e in questi giorni, da San Pietro alla Sistina a Castelgandolfo. Forza che passando per ogni angolo del mondo, per milioni di semplici case, ha snodato e teso come una rete infinita; in cui senza angoscia, ma certi, quei due vecchi uomini in bianco si son passati, con fede e fiducia, la consegna.