Ru486. Sopprimere vite nascenti è delitto contro il futuro
Gentile direttore,
prendo le mosse da due lettere pubblicate su 'Avvenire' del 10 settembre 2020. Lettere interessanti, che potrebbero essere messe a confronto, aggiungendo così qualcosa al dibattito che il suo giornale, molto opportunamente, sta conducendo sull’ampia problematica riconducibile al tema dell’aborto. La prima, del signor Sorrentino, si riferisce alla Ru486 considerandola «l’ennesimo attentato alla dignità e alla salute della donna» e definendola «l’ultimo capolavoro dell’ipocrisia maschile». In realtà, a mio giudizio, non si tratta di «ipocrisia maschile » quanto piuttosto di «ipocrisia» tout-court, da parte di uno Stato, e di una società che, per de-clandestinizzare – com’è, sempre a mio parere, giusto – la donna che abortisce (la casistica dell’aborto solitario e nascosto è quasi sempre tragica), de-penalizza ma non è capace di assumere su di sé né la responsabilità della cura della donna in attesa né quella della cura del bambino non nato, con un accompagnamento che richiederebbe un faticoso e oneroso impegno sia di persone adeguatamente formate sia di mezzi economici e strutture pensate ad hoc. Lo Stato se ne lava le mani, limitandosi a creare leggi che scaricano la responsabilità della decisione sulla donna, la quale è convinta di compiere un atto di libertà e di esercitare un diritto, né codificato né codificabile in quanto porta a consentire la soppressione della vita. Quella vita è e rimane un mistero, «racchiuso proprio in ogni bambino che viene al mondo», come viene detto molto bene nella seconda lettera che mi ha colpito, quella del medico Lucia Ercoli. Allora è proprio nella parola 'mistero' e nella consapevolezza di esso che può trovare collocazione la riflessione seria sul tema dell’aborto. Dobbiamo saper riconoscere che, malgrado tutte le conoscenze scientifiche sinora realizzate, del futuro ancora non sappiamo nulla e, dunque, l’atto di sopprimere una vita nascente è un delitto contro il futuro della storia. Ercoli si concentra poi, in particolare, sulla responsabilità dei cristiani rispetto alle «scelte della politica sulla tutela dei bambini». Ma va pur detto che questa è una responsabilità dell’uomo in quanto tale, anche del non-cristiano.
D’improvviso mi è venuta in mente un’intervista poco nota di Pirandello, concessa al poeta greco Kostas Uranis nel 1931, nella quale lo scrittore, non particolarmente 'cristiano', parlando della creazione artistica, così si esprime: «L’arte deve essere nascita. Non deve essere né invenzione né scoperta. Nella creazione della vera opera d’arte esiste il mistero della nascita. Può una madre sapere quale aspetto avrà il bimbo che porta dentro di sé? Può lei dargli l’aspetto che lei vuole?». Non sembri strana questa analogia fra l’arte e la vita e il senso della «nascita » come evento misterioso!
Ecco, direttore. Forse tutte le leggi e le regole che vengono stabilite hanno un sapore quasi meccanico, e ci spingono progressivamente a perdere proprio il senso del «mistero della nascita». Ma veramente veniamo presi da una terribile, insostenibile emozione, come da un brivido, se pensiamo che tutte le sconosciute mamme che hanno dato vita ai più grandi uomini e donne della storia avrebbero potuto abortire quei loro figli: non avremmo avuto Socrate, Platone, Mozart, Beethoven, Virginia Woolf, Velazquez, Picasso, i Curie, Einstein, Dante Alighieri, Maria Montessori, Leonardo... Una storia opaca nella routine, anche violenta, di secoli e millenni: nessun punto luce, nessuna indicazione dell’Ulteriore, nessuna consegna per gli uomini futuri. Morte, non gioia, né umana grandezza, né bellezza.