«Emergenza sbarchi», l’uso politico. Sono persone non rifiuti
Sul fronte politico-mediatico è, dunque, tornata l’emergenza sbarchi. Il neo-insediato governo Meloni ha immediatamente rieditato la guerra alle ong e ai partner europei, già targata Salvini. E negli stessi giorni, con meno clamore, ma con effetti pratici ancora più perniciosi, ha rinnovato il memorandum d’intesa con la Libia, nonostante le denunce sempre più numerose, documentate e autorevoli di abusi e maltrattamenti, fino alle torture e alle uccisioni, a danno di migranti e profughi detenuti e, se in fuga, intercettati e rimandati nei centri di detenzione gestiti sia dal governo, sia da milizie locali. Il nuovo governo sta cercando di affermare una linea identitaria di stampo sovranista su temi che ritiene popolari, facilmente comunicabili, a basso costo economico e ad alta rendita propagandistica. A spese però dei più deboli, scaricati da una politica cinica e spregiudicata.
Vediamo nel merito gli argomenti utilizzati.
Il primo è la sacralizzazione dei confini. Le vite umane in pericolo diventano un problema secondario rispetto alla riaffermazione del controllo sulle frontiere e sugli ingressi. Non ci sono diritti umani o convenzioni internazionali che tengano, di fronte alla volontà di ribadire una pretesa di sovranità assoluta sul territorio. È un’idea e un linguaggio d’altri tempi. Settantacinque anni di faticose conquiste post-belliche hanno gradualmente limitato e controbilanciato la sovranità nazionale, riconoscendo princìpi universali e diritti delle persone, come nel caso dei richiedenti asilo e dei rifugiati, sanciti da convenzioni internazionali che limitano la potestà degli Stati firmatari.
Il secondo argomento è la colpevolizzazione delle Ong per gli ingressi definiti come “illegali”, rilanciando la vergognosa accusa di complicità con i trafficanti di esseri umani. Ancora una volta va ricordato che se fossero disponibili mezzi legali per raggiungere l’Europa, nessun profugo rischierebbe la vita su natanti inadatti alla traversata. Di fatto, poi, le navi delle Ong intercettano soltanto una minoranza dei richiedenti asilo che arrivano via mare: poco più di 10.000 su 87.000 sbarcati negli ultimi dieci mesi, l’11,5% del totale. I più arrivano spontaneamente, con mezzi propri, altri sono tratti in salvo da petroliere e navi mercantili, com’è avvenuto proprio in questi giorni, altri ancora da navi militari, quando non vengono obbligate a consegnarli ai libici.
Un terzo argomento è quello della bandiera delle navi impegnate nei salvataggi. I ministri coinvolti vorrebbero stravolgere il principio dello sbarco nel porto sicuro più prossimo per addossare ai governi che hanno immatricolato le navi il compito di accogliere i profughi. È una spericolata interpretazione del diritto del mare già contestata da vari illustri giuristi. Le navi possono venire anche dall’altro capo del mondo, essere immatricolate a Panama o in Liberia, ma la loro responsabilità consiste nel salvare i naufraghi e farli approdare al più presto nel luogo più vicino e adeguato a soccorrerli.
Negli ultimi giorni il governo sta poi distinguendo le persone fragili, come i minori, le donne incinte, i malati, a cui a denti stretti ha finalmente consentito lo sbarco, dai nonfragili lasciati invece all’addiaccio sui ponti delle navi che li hanno salvati: è una distinzione priva di fondamenti giuridici.
Anche gli uomini di robusta costituzione, ammesso che lo siano davvero, pure psicologicamente, dopo le traversie che hanno subìto, hanno comunque diritto a ricevere un’accoglienza dignitosa al più presto ed eventualmente a chiedere asilo. Veniamo all’ultimo e decisivo punto: l’Italia “campo profughi d’Europa”, lasciata sola dall’Europa matrigna. Ancora una volta va ribadito: non è vero. Germania, Francia, Spagna, accolgono più richiedenti asilo di noi. A non collaborare all’accoglienza sono piuttosto i governi nazional- sovranisti politicamente omogenei con l’attuale esecutivo italiano. Per di più gli sbarcati sono più visibili, arrivano spesso in gruppi e in circostanze più drammatiche, mentre altri arrivano alla spicciolata, via terra (specialmente dall’Est europeo), o anche in aereo (per esempio, dal Venezuela).
Ma anch’essi richiedono accoglienza. Il vero problema, e la possibile soluzione, non consiste però nel rimbalzare i profughi da un Paese all’altro, come se fossero rifiuti pericolosi da scaricare nel campo del vicino. Guardiamo alla soluzione introdotta per i profughi ucraini: libertà di circolazione e di insediamento nel luogo di loro scelta. È ingiustificabile la mancata adozione della stessa civile misura per i profughi di altre guerre, ma arrivati dal mare e con la pelle più scura.