Sono orgoglioso di un'Italia in cui il generale bacchetta ma non comanda
Caro direttore,
in prima pagina di “Avvenire”, nel richiamo relativo al titolo principale, sabato 22 maggio ho letto: «Intanto Figliuolo bacchetta ancora le Regioni». Un generale non bacchetta, non invita, non raccomanda, ma comanda. Povero generale! Povero Figliuolo!
Maurizio VolpeMi sbaglierò ma la sua brevissima lettera, caro amico, è stata costruita in funzione della battuta finale. Quel «povero Figliuolo!» che tanti (anche nel mio ambiente giornalistico) pregustavano sin dal momento in cui quest’alpino fermo, concreto e gentile si è rimboccato le maniche della mimetica e ha accettato la grana di guidare, in una fase decisiva, l’organizzazione della lotta al Covid-19. E invece no... Perché la fatica c’è, le imperfezioni come sempre non mancano, ma le cose vanno. E vanno piuttosto bene specie sul fronte della campagna vaccinale. E Francesco Paolo Figliuolo la sta spuntando, per tutti noi. Perciò, battuta per battuta, sono orgoglioso e felice di vivere in uno Stato nel quale un generale “bacchetta” ma non comanda. Voglio dire: incalza i “civili”, se e quando ce n’è motivo, nell’esercizio del proprio dovere, ma non dà ordini fuori dall’ambiente militare. Si chiama democrazia. E tale è, e deve restare, la nostra Italia repubblicana. Sono sicuro che lei, io, il generale Figliuolo e tantissimi altri la pensiamo alla stessa maniera su questo punto essenziale. Teniamolo caro, diciamolo chiaro, perché non è mai inutile. E questa non è una battuta.