Opinioni

La sicilia che vuol bene a se stessa. Sono nostri quei figli che dicono no alla mafia dei padri

Umberto Folena venerdì 23 luglio 2010
Ci sono figli che dicono no al proprio padre, pubblicamente, e di cui ogni padre dovrebbe essere orgoglioso. Francesco, Alessandro e Dario sono i figli dell’architetto Pino Sucameli, dirigente dell’Ufficio tecnico comunale di Mazara del Vallo fino al 2007, quando viene accusato di aver favorito la latitanza di alcuni boss, di traffico internazionale di stupefacenti e coinvolto nell’inchiesta sull’eolico, attualmente in carcere. Nel diciottesimo anniversario della morte di Borsellino, Alessandro e Dario hanno scritto una lettera al quotidiano La Sicilia. Ricordano di essere figli di un imputato per mafia e rendono onore a Borsellino, «testimoniando la nostra indignazione per lo scempio che del nostro nome ha fatto nostro padre e chiedendo scusa a quanti sono stati direttamente o indirettamente colpiti dalla sua azione criminosa».Ci sono "figli" che il loro "padre" ricorda con ammirazione e riconoscenza, ma sì, con affetto. Ieri, durante i funerali di Mario Bignone, capo della Catturandi di Palermo, nella Cattedrale la vedova Giovanna ha letto una lettera del marito «ai suoi ragazzi» della Catturandi. «Ragazzi», li chiama, anche se sono giovani uomini. Li saluta, li ringrazia, li ricorda assieme ai «ragazzi di Addiopizzo e Liberofuturo, che sono il riscatto della nostra terra e la rivincita di Palermo».Ci sono figli che oggi è bello pensare figli nostri, tutti quanti. La meglio gioventù che ha bisogno di essere incoraggiata e non scoraggiata, sostenuta e non ignorata. Neppure travolta da una colata di retorica e poi dimenticata, ma accompagnata giorno dopo giorno. Perché non è facile essere figli che rompono con la propria cattiva famiglia, cattiva ma pur sempre famiglia. E ci sarà chi li disapproverà, e diffiderà di loro. Sono quanti credono nella famiglia come idolo, nella "famiglia mafiosa" come totem intoccabile che garantisce l’identità al clan. Ci sono figli che come Al Pacino nella saga del "Padrino" tra l’onestà e la mafia scelgono la famiglia, come supremo, ancestrale valore che dà un senso al loro mondo. E figli che, pur dolorosamente, scelgono la verità scritta dentro il loro cuore, diversa dall’obbedienza a cui vorrebbe obbligarli il sangue. Francesco, Alessandro e Dario scrivono la loro lettera di scuse «per dimostrare che la verità rende liberi; che l’amore e la testimonianza di uomini giusti sono in grado persino di rompere le barriere dell’omertà e il muro di quel marcio e malinteso senso dell’onore e della famiglia che tanto e tutto giustifica».Ad Alessandro e Dario questa lettera costerà un prezzo molto alto, e loro lo sanno. Non tutti in Sicilia apprezzeranno. Sono comunque dei figli, anche se di un mafioso. E la stessa letteratura non abbonda di casi simili ai loro. Viene in mente Jessica, figlia del "Mercante di Venezia" Shylock, che obbedisce all’amore fuggendo, con il cristiano Lorenzo, al risentimento e all’odio che travolge il padre. Viene in mente Elettra, che non può condividere le scelte della madre Clitennestra anche se non fino al punto di ucciderla, come farà suo fratello Oreste. Pochi, rari esempi della dura scelta tra due fedeltà: alla famiglia, alla verità. Nella consapevolezza che la scelta per la verità avrà un prezzo, quanto alto non si sa, ma l’avrà. Sapendolo, Francesco, Alessandro e Dario Sucameli meritano il nostro abbraccio. E la nostra promessa di non dimenticarci di loro, né dei loro "fratelli" della Catturandi di Palermo, di Addiopizzo e Liberofuturo, i figli della Sicilia che vuol davvero bene a se stessa.