Opinioni

Riflessione. Solo far finire la guerra è normale e non basta il mercato a fare pace

Luigino Bruni giovedì 26 maggio 2022

Ci volevano tremila anni di Bibbia e duemila di Cristianesimo per rispondere a un’invasione militare con il mestiere delle armi? Il fallimento è figlio della selezione delle nuove classi dirigenti

«L’effetto naturale del commercio è il portare la pace». Così scriveva nel suo Lo Spirito delle Leggi Montesquieu, rilanciando una idea che girava nel Settecento dei Lumi. Qualche anno dopo, alla fine della sua carriera, l’economista e filosofo napoletano Antonio Genovesi commentava con altro tono quella frase di Montesquieu: «Il gran fonte delle guerre è il commercio». E aggiungeva: «Il commercio è geloso, e la gelosia arma gli uomini». Un secolo più tardi, il grande economista inglese Francis Edgeworth definiva l’economia come la scienza che studia gli «scambi pacifici » (1881), perché si occupa dei contratti liberi e non dei rapporti violenti. Più recentemente (nel 1977), un altro economista, Albert Hirschman, aveva ripreso quella antica tesi di Montesquieu e l’aveva declinata in una delle chiavi di lettura più influenti delle scienze sociali contemporanee. Le società di mercato, diceva, sono fondate sugli interessi, quelle antiche e feudali sulle passioni. Il capitalismo avrebbe allora dovuto rendere il mondo più pacifico proprio perché gli interessi economici, razionali e prevedibili, avrebbero sostituito le passioni irrazionali alla base delle guerre (orgoglio, onore, vendetta, patria, nazionalismo ...).

Questa guerra ci sta dicendo che aveva ragione il triste realismo di Antonio Genovesi, che pur amava il mercato e l’economia quando sono civili e civilizzanti. La società di mercato non ha eliminato né ridotto le virtù belliche, non ha diminuito la produzione delle armi, non ha soppiantato lo spirito militare di conquista. I Paesi più decisi e convinti a rispondere prima di tutto con le armi all’invasione russa dell’Ucraina sono proprio quelli che hanno inventato il capitalismo: Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda. Montesquieu, Edgeworth e Hirschman sono tra le vittime di questa guerra. Con la sconfitta delle loro idee si compie uno dei fallimenti più profondi dell’umanesimo illuminista e occidentale. I nostri capi di governo continuano a utilizzare la guerra come mezzo di risoluzione delle controverse internazionali (art. 11), e poi gioiscono con intima soddisfazione perché le sanzioni commerciali iniziano finalmente a portare i loro frutti di miseria, di dolore e di morte – per i popoli e per i poveri non certo per i capi, che invece ne sono rafforzati nel consenso. È l’avveramento dell’anti-promessa dell’economia di mercato.

La maggior parte dei manager sono formati dalle grandi agenzie globali di consulenza,
i cui linguaggi sono schiacciati sul mondo militare

Forse dovremmo tutti cercare qualche spiegazione diversa di questo enorme fallimento. Una riguarda la selezione delle nuove classi dirigenti. La maggior parte dei manager sono ormai formati dalle grandi agenzie globali di consulenza manageriale (McKinsey, Lloyd, Accenture ...). Né Montesquieu, né Edgeworth e forse neanche Hirschaman po- tevano sapere che negli ultimi cinquant’anni il capitalismo avrebbe subìto una trasformazione etica radicale. È avvenuta quando la formazione dei manager e dei leader delle imprese e della finanza – che prima si svolgeva nelle fabbriche, nelle scuole tecniche e nelle facoltà di economia e commercio – è stata affidata e poi appaltata alle business school e alle società internazionali di consulenza, i cui linguaggi e mentalità sono sempre più schiacciati sul mondo militare e sempre più lontani dal 'dolce commercio' illuminista. È sufficiente partecipare a un loro corso di strategia d’impresa, vedere gli esperti che si alternano in aula, dare uno sguardo ai giochi di ruolo che propinano nei loro programmi di team building, o tentare un’analisi delle parole-chiave che usano tutte costruite sul registro maschile e sulla competizione intesa come lotta per vincere ( loser, perdente: è il nuovo insulto in questo mondo), per accorgersi immediatamente di essere lontani anni luce dalla tradizione della 'civil concorrenza' e sempre più vicini a una accademia militare. La leadership – to lead: guidare, comandare – è diventata un nuovo dogma del capitalismo, dalla dubbia convivenza con la democrazia. Così si legge in uno dei tanti corsi introduttivi di strategia d’impresa: «La strategia è molto più antica di quello che si può pensare. Sun Tzu nel suo libro L’arte della guerraè il primo che è stato in grado di distinguere tra tattica e strategia: le tattiche riguardano le operazioni necessarie per vincere le battaglie, la strategia si preoccupa di vincere la guerra».

Da queste scuole multinazionali non sono uscite soltanto le élite economiche e bancarie, sono emersi anche molti dei nostri politici e dei funzionari della politica. Mezzo secolo di regressione civile ed etica che ha prodotto una classe internazionale di manager tutti simili, che parlano tutti inglese, tutti formati alle stesse virtù performative, strategiche, muscolari, belliche. In molti lo sapevano, in alcuni lo abbiamo anche detto e scritto da tempo; ma ci voleva questa guerra dentro casa per farci vedere con chiarezza che il nostro mercato era stato da tempo occupato dalla logica bellica e militare – è impressionante ascoltare in questi mesi gli esperti di strategia bellica, che nei talk show hanno preso il posto dei virologi (facendoceli rimpiangere), che invece di dire 'soldati' parlano di 'risorse': la tecnica ha sempre cercato di prendere il posto dell’anima, gli strumenti quello della responsabilità, e ci stanno finalmente riuscendo. Non deve stupirci allora che tra gli accademici più entusiasti della linea bellica della Nato ci siano molti miei colleghi economisti, che in genere da giovani erano stati cattolici e/o di sinistra, grazie anche al peso culturale che ha ormai la Teoria dei giochi, sviluppata e cresciuta nell’ambiente della Nasa durante la guerra fredda.

Ma c’è di più, e, per me, di ancora più triste. Questa guerra è anche il fallimento dell’umanesimo cristiano. Dopo duemila anni siamo costretti a prendere atto che il Regno dei cieli è qua- si disabitato. Le guerre mondiali del XX secolo avevano generato una stagione di speranza in un tempo nuovo, finalmente cristiano e umano. Sono stati gli anni del pacifismo, del Concilio Vaticano II, dei grandi movimenti cattolici di massa, del dialogo tra le religioni per la pace, l’era dei diritti umani e dei diritti di tutte le specie viventi e della Terra. In tanti abbiamo sperato che il grande dolore delle guerre fratricide, i campi di sterminio e Hiroshima, avessero segnato un punto di non ritorno per la pace. E invece, ascoltando certe voci e certi silenzi e constatando quanto poco ascoltata sia la voce di papa Francesco che continua a invocare invano pace e giustizia, il Regno dei Cieli si sta desertificando, la città del popolo delle beatitudini appare sempre più vuota. I n questi mesi, mi capita di leggere la Bibbia e i Vangeli più spesso del solito, e non solo per lavoro. E troppo forte è l’effetto sulla mia anima (e pancia) di alcune frasi, che forse non avevo mai capito: 'Beati i miti, erediteranno la terra', 'Beati i costruttori di pace, saranno chiamati figli di Dio', 'Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri', 'Porgi l’altra guancia', 'Ama il tuo nemico'... Ho riletto la non-violenza estrema della passione e morte di Gesù: 'Padre perdonali'. E da lì sono tornato al comandamento più grande: 'Non uccidere', e a 'Nessuno tocchi Caino'. E infine mi è tornato in mente anche il Corano, dove Abele intuisce che suo fratello lo sta per colpire e gli dice: «Anche se userai la tua mano per uccidermi, io non userò la mia mano per uccidere te» (Sura 5,28). Ci volevano tremila anni di Bibbia e duemila anni di Cristianesimo per rispondere ad una invasione militare con il mestiere delle armi?! Quale creatività politica ci hanno insegnato Abele, Abigail, Cristo, Francesco, i martiri, i santi, le madri? Ai carri armati abbiamo solo saputo rispondere con altri carri armati, alle bombe con altre bombe, alle mine con altre mine più moderne, al sangue umano con altrettanto sangue umano che non smette di odorare nel suolo della nostra terra. E noi lo consideriamo normale, necessario, magari addirittura giusto. Noi, noi cristiani, che frequentiamo i sacramenti, che facciamo gli incontri sulla Parola di vita, le adorazioni del Santissimo, che mandiamo aiuti umanitari, che accogliamo dentro casa anche i profughi... Non è normale, niente è normale in questa guerra e in ogni guerra: solo cercare la pace è normale, solo far cessare ora la guerra è normale. Questa guerra, e tutte le guer- re. Il resto è solo disumanesimo, è anti-cristianesimo, terra al di fuori del Regno dei cieli. La sola guerra giusta è quella che riusciamo a non fare.

Un’altra Europa, che duemila anni di cristianesimo e tre secoli di illuminismo non hanno saputo creare, il 24 febbraio avrebbe generato dalla sua anima centinaia di migliaia, milioni di cittadini pacifici e disarmati che avrebbero messo i loro corpi lungo le strade dei carrarmati. E li avrebbero fermati, come e più di un milione di bombe di morte. E, nello stesso giorno, tutti i capi di Stato e di governo sarebbero dovuti correre insieme davanti alla porta del Cremlino, lì iniziare tutti uno sciopero della fame per chiedere a Putin di tornarsene a casa. Sogni, favole, utopie... E invece sarebbe molto realistico, concreto e serio cercare la pace con telefonate interurbane, che ormai sono pure gratis. E noi incollati alla tv, bombardati da una produzione di massa di metafore sbagliate e molto pericolose, ad assistere passivi anche alla manipolazione di Gandhi e di Bonhoeffer trasformati in sostenitori muti della nostra risposta bellica fratricida e della 'legge del taglione', per non parlare delle infinite parole vuote e morte sulla 'guerra giusta' tratte fuori contesto e fuori tempo da sant’Agostino e san Tommaso. Ridicolizzato Francesco, banalizzato il Vangelo. Quando il «tempo in cui i re sono soliti andare in guerra» (2 Sam 11,1) finirà per sempre? Profezia dei cristiani: dove sei? Dove sei stata sepolta? Alzati: vieni fuori!

«Qui si tratta che si sta montando una guerra di egemonia tra due blocchi, dalla quale noi non abbiamo nulla da sperare e con la quale non abbiamo nulla da spartire. Vinca la Russia o vinca l’America se noi ci lasciamo coinvolgere passivamente avremo che l’Europa diverrà il centro del carnaio e della distruzione ». Queste parole diverse e profetiche sono di Igino Giordani (del 1951), un anti-fascista e Padre costituente, mio maestro immenso, che si auto-definiva «un cristiano ingenuo». Probabilmente anche questo articolo, come altri pubblicati da questo giornale che non per nulla si chiama 'Avvenire', verrà immediatamente collocato tra i pensieri ingenui e quindi dannosi degli idealisti. Ne ero ben cosciente prima di scriverlo: ma non sono riuscito a convincere né la penna né l’anima.

l.bruni@lumsa.it