Il protagonismo sociale degli immigrati. Solidarietà di sempre e mani di nuovi italiani
Il movimento delle Sardine ha riportato in piazza migliaia di persone, spesso giovani. Tra i protagonisti, per esempio a Modena, compaiono anche i giovani italiani di origine immigrata. Un segno che qualcosa si muove nel composito paesaggio della cittadinanza. Anzitutto, malgrado le resistenze delle maggioranze parlamentari nei confronti di un ammorbidimento del codice della cittadinanza più restrittivo dell’Europa occidentale, le naturalizzazioni alla fine vanno in porto: negli ultimi tre anni, 460mila persone di origine straniera sono diventati italiani anche ufficialmente.
La società conosce intrecci e mescolanze di persone di origine diversa (24.600 matrimoni misti nel 2017), e anche le istituzioni pubbliche prima o poi dovranno prenderne atto. Questi movimenti sociali ci mostrano, poi, un’altra dimensione della cittadinanza, particolarmente rilevante nel caso degli immigrati: al di là della cittadinanza formale, esiste una cittadinanza sostanziale, 'vissuta', che si può esercitare anche in mancanza del diritto di voto. Pure gli immigrati, come gli adolescenti mobilitati da Greta Thunberg, possono far sentire la propria voce e avanzare delle richieste al sistema politico. Inoltre, formando delle associazioni o aderendo ai sindacati, gli immigrati possono rivendicare i propri diritti e lottare contro le discriminazioni. Ossia partecipare attivamente alla vita pubblica. La cittadinanza attiva passa, inoltre, attraverso varie forme di volontariato: gli immigrati e le persone di origine immigrata, in genere considerati come i beneficiari di azioni di aiuto esercitate da italiani, stanno diventando sempre più soggetti attivi della solidarietà sociale.
Anziché chiedere sostegno, un numero crescente di loro lo fornisce. Anziché rimanere in una posizione di estraneità nei confronti della società italiana, vogliono contribuire a migliorarla. Tra i donatori di sangue e di organi, i volontari delle ambulanze, le guide del Fai, le persone di origine immigrata sono una componente diffusa e in crescita. Un mondo del volontariato che non sempre trova i ricambi di cui ha bisogno sta scoprendo un’inedita linfa per le proprie attività tra i nuovi residenti (e cittadini, di fatto o di diritto). Di questo fenomeno si è occupata una ricerca promossa dal CSVnet, la rete dei centri di servizi per il volontariato, e svolta dal Centro Medì-migrazioni nel Mediterraneo. Tra i primi risultati emersi, gli immigrati impegnati nel volontariato sono istruiti (otto su dieci hanno un livello d’istruzione medio-alto), stabilmente insediati (in media vivono in Italia da 15 anni) socialmente integrati (sei su dieci lavorano, quattro su dieci sono diventati cittadini italiani), piuttosto giovani (l’età media è di 37 anni), più donne che uomini, anche se con poca differenza (52 a 48%).
Svolgono principalmente attività culturali, educative, ricreative, di assistenza. Facendo volontariato hanno allargato la rete dei propri rapporti sociali, allacciando nuove amicizie, e si sentono più inseriti nella società italiana. È insomma la fotografia di un’immigrazione insieme qualificata, stabilmente insediata e socialmente responsabile. Uno dei volontari intervistati ha dichiarato: «In questi anni penso che il cambiamento principale sia stato che sono partito da vittima e sono diventato protagonista». Abbiamo bisogno di conoscere di più queste pratiche di cittadinanza attiva, di diffonderle e valorizzarle. Un Paese in cui persone native e persone immigrate collaborano per scopi di utilità sociale farà passi avanti sulla strada della coesione, del riconoscimento reciproco, dell’apertura al nuovo.