Per arginare la crisi di senso. Smottamenti e generatività
Quando eravamo piccoli, le ferie si chiamavano villeggiatura, e non a caso. Statisticamente, dal 1965 a oggi il numero medio di giorni di ferie degli italiani si è dimezzato. Ma non solo questo è cambiato come purtroppo insegnano le punte estreme delle cronache di delitti e di degrado, non ultima quella di Caivano. Se facessimo la foto di una parte considerevole del nostro Paese e la affiancassimo ai dati, la troveremmo impoverita, incattivita e depressa. Abbiamo ormai statistiche solide per comprendere le cause di questo malessere. Come italiani, siamo vittime di due smottamenti. Il primo è quello della classe media, che precipita in basso (se non sempre in senso assoluto, almeno in senso relativo), con il conseguente aumento delle diseguaglianze di reddito. Non solo perché il nostro Paese ha fatto fatica a contrastare gli effetti della globalizzazione dei mercati che hanno spostato la produzione nelle nazioni a basso reddito, ottenendovi risultati straordinari, come la quasi scomparsa della povertà assoluta in Cina e il progresso economico di un intero continente, India inclusa.
Fenomeni giganteschi che ci portano in un mondo necessariamente multipolare dove i Brics si allargano e contano come i Paesi occidentali ad alto reddito ed è illusorio nutrire nostalgie di supremazia. Il secondo smottamento, in parte collegato, è più profondo e riguarda il senso del vivere. Le scienze sociali evidenziano con sempre maggiore chiarezza che siamo cercatori di senso, e il senso dell’esistere si fonda su tre elementi fondamentali: un lavoro generativo che sentiamo utile, l’investimento nelle relazioni dove esiste una metrica molto semplice (più dai e più ricevi), la risposta alla nostra domanda di senso in una fede religiosa o in un grande ideale. Sono cose apparentemente semplici, beni comuni profondi radicati nel sentire delle passate generazioni, ma che sembrano diventate impraticabili nella nostra cultura e nel nostro sistema economico.
Persino nella nostra civiltà, se una recente indagine nel Regno Unito afferma che quasi un terzo degli abitanti di Londra dichiara di fare un lavoro inutile o dannoso e di non avere la possibilità di cambiare. L’esito inevitabile di questi due smottamenti è la crisi demografica, perché in situazioni economiche difficili e in povertà di senso del vivere vengono meno le due condizioni essenziali per costruire progetti di affetti e di famiglia.
I due smottamenti ne producono un terzo, per altro, che è l’imbarbarimento del nostro dialogo civile. Il rancore e la povertà di senso minano poi profondamente la fiducia nelle istituzioni e nella comunità scientifica, generando disaffezione verso la politica fino ai fenomeni del complottismo. Il primo passo per curare la malattia è la consapevolezza. In qualche modo, le forze politiche avvertono il problema e provano a curare questo malessere confrontandosi con idee molto diverse sulle tasse sugli extraprofitti delle banche, salario minimo e misure contro la povertà. Se vogliamo ricostruire quel bene comune del senso del vivere (con sintesi nuove, perché non si tratta di ritornare al passato) la risposta però deve essere più profonda, e partire da un modo nuovo di concepire l’economia e la società.
Le dimensioni del senso e della generatività devono diventare centrali favorendo modelli di lavoro e d’impresa che guardano all’impatto assieme al profitto, usando indicatori di ben-vivere multidimensionale che orientino la rotta delle nostre società nella direzione giusta e soprattutto adottando un atteggiamento contributivo e non estrattivo. Una società di rancorose monadi da tastiera che esalta e getta nella polvere i leader perché si aspetta tutto da loro non può funzionare e deve trasformarsi in una comunità di cittadinanza attiva, partecipazione e azione dal basso che costruiscono capitale sociale e la linfa della democrazia. Dobbiamo tornare tutti a investire nelle relazioni scegliendo la responsabilità e la cura (non solo nell’ambito familiare) come nel modello delle comunità educanti che possono e devono contrastare il degrado e la delinquenza minorile assieme a norme più severe con le quali i sedicenni sono chiamati ad assumersi le responsabilità dei loro gesti. I territori rinascono e fioriscono quando i loro abitanti non si chiedono solo quante risorse possono ottenere dalle amministrazioni ma si domandano che cosa possono fare individualmente e in forma organizzata per contribuire al benessere del proprio Paese.
Parliamo di qualcosa che già esiste. Buone pratiche e comunità d’innovazione sociale hanno fatto crescere la cooperazione di ogni genere e tipo, il mondo della finanza etica e del commercio solidale, i processi di amministrazione condivisa e di co-progettazione, le comunità educanti e le esperienze di giustizia riparativa, solo per fare alcuni esempi. La natura di una situazione così complessa come quella che abbiamo descritto è tale che è illusorio pensare di poterla risolvere con una sola misura, una sola mossa. Comprendendone però le caratteristiche generali possiamo avviare un percorso di rinascita che tenga assieme le diverse dimensioni. Non mancheranno nella stagione che ci aspetta le occasioni e i modi per farlo.