Lettere. «Sistema di voto complicatissimo. Elettori in difficoltà e anziani delusi»
Caro Avvenire,
sono un presidente di seggio riemerso dopo tre giorni in cui sono stato rinchiuso dentro la sezione e ho dormito sì e no 3-4 ore per notte. Vi illustro dei brevissimi pensieri, come “i pensierini” di quando eravamo bambini. Primo pensierino: il sistema è complicatissimo la gente non capisce e sbaglia nel votare. Facilmente perché le schede sono fatte male. Inoltre, per Camera e Senato c’è un sistema e per la Regione un altro e già questo crea confusione. Nelle schede non sono separati i nomi dei listini bloccati dal simbolo. Questo crea confusione e la gente vota mettendovi una grande croce, se va bene, e se va male scrive la croce su uno dei nomi e così la scheda viene annullata. Bastava dal punto di vista tipografico separare i nomi dal simbolo e colorare il campo dei nomi con un colore grigio. In questo modo la matita non avrebbe avuto nessun risalto e l’elettore si sarebbe accorto che lì non doveva scrivere. Sembra quasi che non interessi aiutare il voto, ma indurre all’errore.
Secondo pensierino: gli anziani entrano tutti in pallone. Ho assistito a scene incredibili; gente che non riusciva a piegare la scheda, che mi chiamava e richiamava perché aveva la scheda arrotolata o mal piegata o stirata, ma mai dalla parte giusta con il bollino in evidenza affinché io potessi staccarlo. Avrò rimandato in cabina decine di anziani a ripiegare la scheda, invano. Alcuni anche tre volte. Siamo un popolo ormai di persone di una certa età, ma non si può inventare un sistema più semplice?
Terzo pensierino: molte persone hanno subito il bollino antifrode addirittura come un’imposizione, con la quale di fatto è stata loro tolta la possibilità del gesto simbolico (ma non tanto!) di mettere la scheda nell’urna. Tutti erano abbastanza contrariati. Alcuni restavano finché io non mettevo la scheda di fronte a loro nell’urna. Un signore si è proprio alterato. Voleva inserire a tutti i costi le schede da solo, ha strappato i bollini. Ho temuto che strappasse anche la scheda ed e intervenuto il figlio tentando di calmarlo. Insomma il presidente di seggio è stato inchiodato da queste regole davanti all’urna. Perché se ci sono dei problemi, non si può allontanare: 12 ore in piedi per prendere le sche- de, strappare il bollino e infilarle nell’urna, chiamare la gente dalla fila, affacciarsi sulla porta invano per spiegare e rispiegare (invano!) ad alta voce le modalità del voto. Ma, credetemi, questo bollino è stato uno strazio... Nonostante tutto questo sforzo su 700 votanti (gli aventi diritto erano 1.040) al Senato ho avuto 29 schede annullate, alla Camera 26 e alla Regionali 13.
Escluse quelle con insulti e parolacce, molti erano errori procedurali. Ci sono stati anche momenti che definirei “sociologici”. Per esempio, intorno a mezzogiorno non c’erano più donne in fila... Tutte a casa a cucinare. Poi intorno alle 14 sono spariti gli uomini e sono cominciate ad arrivare le donne. Gli uomini, probabilmente, a dormire davanti alla tv e queste ultime, dopo aver cucinato e rimesso in ordine sono finalmente venute al seggio. Quasi solo loro e niente uomini, almeno fino alle 16,30. Riassumo il pensiero più spesso esternato: “Votare è complicato e in più non mi fate più mettere nemmeno la scheda nell’urna”. Molti sono andati via arrabbiati. Fortunatamente anche moltissimi ci hanno ringraziato constatando che il lavoro si è triplicato con decine di registri e verbali in duplice copia, dove non si comprende perché non si riesca a stampare o incollare precedentemente fogli con i nomi dei candidati prima dell’inizio della scrutinio. Questo ha portato inevitabilmente a molti errori di conteggio e a inevitabili ritardi nella chiusura dei seggi. Spero che questa mia lettera dalla prima linea dei seggi serva a chi prepara le elezioni perché la prossima volta il voto sia più semplice per tutti.
Dal diario di un presidente di seggio. L’Italia vista da una di quelle aule con i disegni dei bambini appesi alle pareti, dove andiamo a votare. Prima annotazione: il sistema è complicatissimo. Ce ne siamo accorti tutti. Pochi, credo, possono dire di avere compreso appieno il Rosatellum, nonostante giornali e tv ripetessero continuamente le spiegazioni. Pur avendole ascoltate e lette, personalmente sono arrivata in cabina un po’ nervosa, e ho aperto le schede, dopo tanti avvertimenti contro il rischio di annullamento, come un rebus da decifrare. Allora, la croce sul simbolo o sul nome del capolista o su tutti e due?
La mia matita ha esitato come quando, a scuola, il quesito di un compito non era chiaro. Alle Regionali, poi, tutt’altro sistema. Sono uscita titubante, ancora domandandomi se non avessi sbagliato qualcosa. Secondo punto del diario da un seggio: le persone anziane. Talvolta con qualche problema di vista, o semplicemente a disagio con le nuove schede. Impossibile, naturalmente, per i figli accompagnare i padri nelle urne. Chissà quanti voti nulli. E che peccato. Votare dovrebbe essere semplice, in un sistema trasparente accessibile a qualunque persona. Terzo punto: la farraginosa procedura del bollino, e soprattutto la impossibilità di mettere personalmente la scheda nell’urna. Il nostro presidente-lettore ha ragione, è un gesto simbolico. Vuol dire: depongo il mio voto con le mie mani, senza mediazioni. È un gesto importante. Dodici ore in piedi a infilare schede nell’urna, qualcuno che ha bisogno di aiuto, qualcuno che perde la calma. Intanto, osservi: le donne all’ora di pranzo scompaiono, sono a fare da mangiare, gli uomini dopo pranzo riposano e solo allora le donne vanno a votare.
Uno schema antico, evidentemente ancora attuale in questo 2018, con tante parole che ci raccontiamo... Passa l’Italia davanti, in un seggio. Si tocca con mano quanti di noi sono vecchi. E anche una diffusa trepidazione davanti a un rito da molti trascurato, ma ancora sentito come vitale e importante. Qualcosa per cui c’è chi si impegna a fare il presidente di seggio – trequattro ore di sonno e un sacco di grane, per un non lauto compenso. E c’è chi rimane mortificato nel non potere infilare personalmente la scheda nell’urna. Come se gli venisse portato via qualcosa, qualcosa a cui in realtà, in questa democrazia preziosa e denigrata, tiene profondamente.