Opinioni

Amazzonia. Gli occhi aperti del Sinodo e una tradizione da ricordare

Stefania Falasca sabato 12 ottobre 2019

Ci sono Stati in cui a comandare sono le mandrie di bovini. Come quello brasiliano di Tocantins, che di capi di bestiame ne conta più di nove milioni a fronte del milione e mezzo di abitanti. Di questo non immaginario Paese di Bengodi degli allevamenti intensivi e dell’agro-business ha parlato al Sinodo sull’Amazzonia un vescovo di quella regione: «Qui tutto il bestiame è vaccinato, le persone no. E su queste gravano, oltre agli interessi di pochi, l’avvelenamento da pesticidi usati nelle sterminate colture intensive di soia per alimentare il bestiame e il fumo dei disboscamenti procurati per ottenerle». Una parte non marginale della carne consumata in Europa pare venga da qui. E già sapere da quale filiera di costi in termini di esseri umani, ambiente e bestiame provenga la bistecca che abbiamo davanti potrebbe indurci a più di una riflessione.

Ma questo è solo un esempio dei tanti portati nella prima settimana di lavori sinodali in Vaticano per renderci conto di quanto sia larga e profonda la voragine dei sacrifici umani e ambientali scavata dai diktat del business globale, dei potentati che sottomettono tutto al dio denaro, di una certa economia ossessionata dalla speculazione e dal lucro che comanda sull’umanità, rendendoci tutti – è il caso di dirlo – carne da macello. Il newyorkese come l’indio yanomano, tutti incamminati all’autodistruzione, a quelle latitudini e alle nostre, perché sempre più alienati dalla schiavitù dell’accumulo e del consumo. Il Sinodo ci sta aprendo gli occhi su questa realtà, quella della quale questi potentati, questi nuovi dèi, non vogliono si prenda coscienza. E ci chiede invece più coscienza, perché la tutela dell’ambiente non è l’interesse di alcuni fanatici, non è questione da ridurre alle istanze politiche di verdi od ong ma una realtà che riguarda tutti. E non abbiamo un pianeta di riserva sul quale spostarci.

O ci prendiamo cura della nostra casa comune adesso o comprometteremo il futuro della nostra stessa vita. Non ci è chiesto di vivere come gli yanomani ma di consentire un’economia compatibile con l’ambiente, nel rispetto della loro vita e della nostra. Per questo il Sinodo sta chiedendo un esame di coscienza soprattutto ai cristiani: se tutto è interconnesso, non siamo padroni della Terra che possono spadroneggiare sulla vita ma siamo chiamati a essere custodi di quanto Dio ha creato. Perché – come più volte rilevato in questi primi passi di assemblea sinodale – Dio ha fatto tutto “in rete”, cioè in armonia, e se si tocca malamente qualcosa c’è tutta una filiera che ne viene compromessa, per sempre.

Ci viene ricordato che finora non abbiamo posto adeguata attenzione ai peccati contro l’ambiente. La teologia morale nello scorrere del tempo conosce variazioni, e a seconda dei momenti storici ci si accorge maggiormente della rilevanza di alcuni peccati. Dopo l’enciclica Laudato si’ ci troviamo in un kairòs, un tempo opportuno. Il Sinodo ci sta facendo capire che anche il nostro stile di vita schiavo del consumo non è compatibile con l’ambiente, che estrarre minerali in maniera selvaggia mettendo a rischio persone ed ecosistemi è un peccato di cui bisognerebbe confessarsi, e fare ammenda. Sta portando alla luce nel profondo il tema del nostro rapporto con la natura: mancare al rispetto che le dobbiamo è un peccato grave fino all’ecocidio. La Chiesa può e deve far percepire la gravità del peccato contro l’ambiente come peccato contro Dio, contro il prossimo e contro le future generazioni.

Questo Sinodo, figlio della Laudato si’, sta perciò indicando la possibilità di poter cambiare rotta con un’ecologia integrale come forma di conversione al Vangelo. Perché solo con una relazione di “alleanza con l’altro” uomini e natura avranno futuro. L’ecologia integrale è l’antidoto a questo modello disumanizzante che divora l’ambiente e le vite degli uomini.

Un’invenzione di questo Papa? No, è uno sviluppo alla luce dei tempi di quanto è presente da sempre nella Tradizione della Chiesa, essendo già istanza della fede biblica. Si afferma infatti che l’imperativo cristiano di custodire la Creazione, in quanto dono del Padre, è presupposto della vita umana. Né questo Sinodo né papa Francesco perciò inventano nulla. E meno che mai nuovo tutto questo dovrebbe suonare a noi. Il patrono dell’ecologia integrale non viene infatti dalle foreste del Borneo o dell’Amazzonia, è un italiano vissuto nel XIII secolo: Francesco d’Assisi. È stato lui a parlare della Terra come madre e delle creature come sorelle, e non era un santo naif. L’ecologia integrale, dunque, è un tratto che già ci appartiene, e appartiene alla Chiesa. Si tratta di farlo riemergere. Di tornare a san Francesco. È qui, in fondo, la prospettiva e la profezia di questo Sinodo.