Opinioni

Educare. Sicurezza stradale, oltre gli slogan. Più tecnologia e cultura del limite

Vincenzo R. Spagnolo mercoledì 19 luglio 2023

Quasi trent’anni fa, l’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani coniò lo slogan zero tolerance per convincere gli elettori del vigore delle sue politiche di repressione dei reati. Da allora, quel sintagma è rimasto nel gergo comune e nel lessico della politica, fra le alzate di ciglio di giuristi e criminologi che lo ritengono vessillo di un “populismo penale” ingannatore, perché illude i cittadini che basti un giro di vite normativo a far sparire ogni violazione. Anche in Italia, la tolleranza zero è stata sventolata per sostenere l’urgenza di “pacchetti sicurezza” che avrebbero dovuto cancellare interi fenomeni di illegalità. Salvo accorgersi – fu il caso del draconiano reato di “clandestinità” per gli immigrati irregolari, propagandato dalla Lega bossiana sulla pelle di migliaia di migranti in fuga da guerre, carestie e fame – che alcune misure invece finivano indirettamente per alimentare il magma di sfruttamento che si proponevano di contrastare.

Da qualche settimana, l’espressione è tornata in auge per esser stata riproposta dal vicepremier Matteo Salvini e dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a proposito del contrasto alla perdurante insicurezza stradale e all’abuso di sostanze stupefacenti (peraltro concausa di comportamenti sregolati al volante).

Ora, in linea generale è fisiologico che periodicamente il legislatore proceda a una messa a punto, per così dire, delle norme penali e amministrative. E solo il tempo dirà se la correzione di rotta sia stata efficace. Nel frattempo, rispetto alle norme stradali disegnate dal Consiglio dei ministri, qualche considerazione è già possibile. Alcune vanno nella direzione di mettere ordine nella giungla della circolazione. Pensiamo allo stop immediato ai guidatori sotto l’effetto di alcolici o stupefacenti (che causano 6.500 scontri l’anno); al giro di vite su cellulari, guida contromano e sosta selvaggia; agli obblighi per i monopattini; alle distanze dai ciclisti, alla stretta sulle auto potenti ai neopatentati. Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’assurdo scontro di Roma, causato da un giovane youtuber su Lamborghini ai danni di una Smart con mamma e bambini.

Basteranno a generare un effetto deterrenza capace di metter fine a decenni di fatali distrazioni e consapevole menefreghismo? In anni recenti, né la patente a punti né il reato di “omicidio stradale”, introdotto nel 2016 in un codice già affollato di fattispecie punitive e dipinto come la “madre di tutte le sanzioni”, hanno interrotto la spirale di investimenti colposi. Gli autovelox crescono di numero, ma non frenano gli esagitati. E purtroppo, il mancato rispetto di limiti, segnaletica e attraversamenti miete centinaia di vittime pure fra gli utenti stradali più indifesi, i pedoni: oltre 200 quelli uccisi da gennaio. E la conta non si arresta: pochi giorni fa, a Santo Stefano di Cadore una 31enne tedesca lanciata a 90 km all’ora ha ammazzato un bimbo, il suo papà e la sua nonna. E l’altra sera a Garbagnate, un 32enne senza patente e positivo all’alcol test ha falciato due 15enni sulle strisce.

Dinamiche che nessun giro di vite è finora riuscito a interrompere. Il fatto è che nessuna stretta penale, da sola, può cancellare decenni di malcostume al volante, o far svanire l’alone di trasgressione e complicità che avvicina molti giovani all’incontro con alcolici e droghe. La repressione da sola non basta, senza un ribaltamento di paradigmi. E allora perché non favorire per strada e nella società l'accantonamento di quella subcultura prepotente del “sorpasso”, in voga dai tempi del film-culto di Risi con Gassman e Trintignant, a vantaggio di una cultura del limite, come scelta pragmatica e condivisa? Si veda ad esempio l’esperimento, raccontato da “Avvenire”, dello slow motion a 30 all’ora in diverse città europee, fra cui Bologna. Ma non basta: oltre a investire sull’educazione stradale (apprezzabile l’intento del governo d’incentivarla nelle scuole superiori, forse andrebbe accompagnata da programmi sui rischi sanitari dell’abuso di sostanze), perché non destinare subito una parte del Pnrr a interventi capillari su strade e segnaletica, evidenziando con ogni mezzo possibile strisce, obblighi di stop e di precedenza, sensi unici e divieti? E perché - nell'imminente rinnovamento del parco vetture italiano, legato alle norme sull’inquinamento - non dotare di incentivi solo quelle dotate di tutte le tecnologie (l’alcolock previsto nella riforma governativa, la frenata assistita d’emergenza…) capaci di fare da salvavita? Nel 2010, si contavano oltre 200mila incidenti e 4mila morti. Nel 2022 sono scesi a 70mila, con quasi 1.500 vittime. Meno, ma sempre troppi. E non è detto che proclamare l’ennesima stretta, senza interventi a latere, basti a fermare quel tragico contatore.