Questa catechesi del congedo. Siamo per servire
Poche ore ancora e il Pontificato di Benedetto XVI chiuderà il suo corso. L’anello del pescatore verrà frantumato e la memoria dell’evento lascerà carico di commozione il cuore di chi ha amato Joseph Ratzinger, e non solo. Provocherà riflessioni di senso anche in chi ha imparato a conoscerlo nei suoi ultimi giorni di pastore della Chiesa universale, in chi, benché lontano dalle sue parole per diversa sensibilità, non ha potuto che apprezzare il coraggio profetico di un vecchio Papa che ha trasformato il tempo di una rinuncia, dolorosa e sofferta, in un potente grido di futuro, carico di responsabilità e impegno per tutta la Chiesa. Grido potente di speranza, impastato di verità evangelica.
Dall’11 febbraio, dopo la prima scossa emozionale, quasi una perdita di orientamento, giorno dopo giorno sembra emergere nella Chiesa sempre più chiara la consapevolezza di una precisa e strutturata volontà di Benedetto di accompagnare la sua uscita, di voler raccontare senza enfasi il suo percorso e consegnarsi al giudizio di Dio e degli uomini nella verità che rende liberi. La consegna di un Papa che, non senza motivazioni, cerca – nei segni e nelle parole – di congedarsi senza clamore, benché il suo gesto resti naturalmente senza enfasi, come lo stile di tutto il pontificato.
Le ultime omelie e le espressioni a braccio possono ben definirsi una 'catechesi del congedo', e forse nel tempo qualcuno potrebbe ritrovare tra le righe l’ultima enciclica che per impeto e affetto potremmo intitolare: Sumus ad servandum, rievocando le parole pronunciate domenica da Benedetto nell’ultimo Angelus a piazza San Pietro. Carezze di profondo significato le sue parole vestite di sobrietà, capaci di trapassare il luogo dell’apparenza e comunicare una forza inaudita nonostante il Papa stesso confessi la sua mancanza di vigore. Una nuova luce circonda la sua persona, mai come in questi giorni luminosa, che trasmette serenità e pace. Gesti e parola di consegna passati con la certezza che faranno il loro corso nella nostra storia individuale, affidati alla riflessione della Chiesa che non potrà che farne tesoro per ripartire da dove Benedetto si congeda.
Un testamento, le sue ultime parole, che tracciano un confine tra il prima e dopo e indicano un percorso: la preghiera, la vocazione, la gratitudine, l’abbandono a Cristo che guida la sua barca. Non è possibile organizzare il tempo della comunità cristiana senza un recupero della sua ascesi credente, la preghiera come spazio di fede e come offerta di nuova sostanza di appartenenza. La vocazione è memoria di un incontro, rimando al primo 'sì' dato al Maestro di Galilea, che ogni credente deve tenere sempre presente, che deve tener presente la Chiesa per dare risposta alla sua stessa vita. Come non vivere la fede e la storia con gratitudine, originando uno stile rivoluzionario di vita che nella Chiesa offra al mondo la sua testimonianza di impegno alla gioia. Il tempo ci dirà quanto di ciò che ci sta consegnando in questi giorni Benedetto resterà, in un’epoca capace di emozionarsi velocemente e velocemente dimenticare.
La storia futura di sicuro non dimenticherà Benedetto, non dimenticherà che un uomo, il successore di Pietro, ha avuto il coraggio della profezia, mentre parole di fumo avanzano nel consesso degli uomini. Domani sera il Santo Padre lascerà il pontificato, e si comincerà a parlare del dopo Ratzinger. Nel frattempo, c’è ancora spazio per raccogliere la sua testimonianza e fare tesoro di tanta ricchezza. Nel frattempo, il successore di Pietro, Vicario di Cristo, è Benedetto XVI, e chi ascolta lui ascolta il Maestro di Galilea: dopo ci attrezzeremo al dopo, ora è tempo di godere – e soffrire – il presente che ci è concesso.