Opinioni

Virus. Più di dengue o zika dovremmo preoccuparci del morbillo

Vittorio A. Sironi martedì 23 aprile 2024

I casi di morbillo registrati in tre mesi sono già 200, l'80% in soggetti non vaccinati

Dengue, zika, chikungunya: nomi strani, esotici, misteriosi, inquietanti. Sono quelli delle malattie infettive emergenti che in forma epidemica stanno interessando in questi ultimi anni diverse aree del mondo Un “corollario” apparentemente meno grave, ma in realtà non meno rilevante, della recente pandemia di Covid-19 che ha sconvolto le nostre vite. Suscitano allarme perché rappresentano una nuova minaccia per la salute globale e sono in crescita. Sia pure con numeri ancora contenuti incominciano ad affacciarsi anche in Italia. Niente paura però: è necessario conoscerle per essere preparati ad affrontarle.

Sono malattie virali trasmesse da zanzare del genere Aedes portatrici del virus patogeno e si manifestano con febbre alta, cefalea, dolori muscolari e articolari, sovente accompagnati da eritemi o eruzioni cutanee. Anche se in alcuni casi la sintomatologia è più sfumata, talvolta addirittura assente, al punto tale che la patologia passa inosservata.

Dengue è un termine che deriva da un’espressione africana (dinga) usata per descrivere una malattia causata da uno spirito maligno, espressione a sua volta di probabile derivazione dallo spagnolo dengue (fastidioso), parola atta a indicare la particolare e dolorosa andatura caratteristica dei malati di questa “febbre spaccaossa”. È una malattia nota da tempo, ma che ora sta esplodendo a causa del cambiamento climatico che fa proliferare in modo incontrollato le larve delle zanzare in nazioni particolarmente sensibili agli effetti del clima. È il caso del Brasile, dove ora la dengue ha il suo inarrestabile epicentro epidemico, con un ritmo di ventimila contagi al giorno e quasi due milioni di malati dal 2000.

Un quarto dei contagiati ha manifestazioni gravi e di questi circa il 5 per cento presenta complicanze serie. Senza adeguate cure il virus, soprattutto nelle persone anziane, ha una letalità del 15 per cento. Anche se esiste un vaccino efficace, secondo l’organizzazione Panamericana della Sanità, questo non riuscirà a controllare l’epidemia in corso. Sia perché la popolazione è reticente a vaccinarsi, sia perché il vaccino tetravalente ora in uso non viene prodotto in quantità sufficiente rispetto alla richiesta. Con questo scenario, il timore di arrivare a cinque milioni di casi entro fine anno è reale. In un mondo così interconnesso come il nostro, l’epidemia può estendersi rapidamente in altri Paesi dell’America Latina e della parte meridionale del Nord America. Il rischio che con l’estate possa diffondersi anche nei Paesi del bacino del Mediterraneo non è poi così remoto.

L’infezione da virus zika, anch’essa trasmessa da zanzare, si presenta con un quadro clinico più contenuto perché solo in pochi casi determina febbre, dolori articolari ed eruzioni cutanee. La maggior parte delle persone che contraggono questa infezione non manifesta sintomi e molte non sanno di essere infette. Questo quadro subdolo rappresenta però un grave rischio per le donne in gravidanza, che, se contraggono la malattia, possono poi dare alla luce neonati affetti da microcefalia. Bambini cioè che presentano una dimensione anormalmente ridotta della testa perché il cervello non si sviluppa in modo tipico e rimane piccolo.

Chikungunya è una parola africana che con tale termine (che significa letteralmente “ciò che curva” o “situazione che contorce”) descrive la condizione tipica di questi malati i quali, a causa della febbre e degli intensi dolori muscolari e articolari, tendono a rimanere assolutamente immobili e ad assumere posizioni antalgiche. Nella maggior parte dei casi i pazienti si riprendono completamente, tuttavia in alcuni casi il dolore delle articolazioni può persistere per mesi o addirittura per anni. Raramente si verificano complicanze gravi, tuttavia negli anziani la malattia può essere una concausa di morte.

Non esistono trattamenti antivirali specifici e le cure si focalizzano nell’alleviare i sintomi. Un vaccino mirato è stato da poco approvato negli Stati Uniti.

Accanto a queste, altre note infezioni tornano alla ribalta. Come il riemergente morbillo, con un’impennata di casi che colpisce i bambini dalla nascita sino ai 4 anni in Asia centrale ma ultimamente anche in Europa. Un incremento legato al venire meno in molti Paesi di un’adeguata attenzione da parte dei servizi sanitari, ma soprattutto al drastico calo dei soggetti vaccinati. Secondo lo European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), nella sola Ue, tra marzo 2023 e febbraio 2024 sono stati registrati 5.770 casi di morbillo e almeno 5 decessi dovuti alla malattia infettiva. A questo si affianca un aumento di 10 volte dei casi di pertosse rispetto ai due anni precedenti.

Anche in Italia i dati dell’Istituto Superiore di Sanità sui casi di morbillo sono poco confortanti: oltre 200 malati nei primi tre mesi di quest’anno e oltre l’80 per cento sono soggetti non vaccinati. Molti anche i soggetti con più di 30 anni. Questi primi dati sembrano confermare che sta partendo un’epidemia. Il morbillo, nonostante quello che comunemente si pensi, non è una malattia banale: se presa in età adulta può essere una patologia grave e dare complicanze. In Italia la copertura vaccinale non è ottimale, nonostante l’obbligo reintrodotto alcuni anni fa, e questo spiega la situazione attuale. È indispensabile promuovere campagne atte a ripristinare la protezione vaccinale per le fasce a rischio.

Un altro motivo di preoccupazione è rappresentato dal virus dell’influenza aviaria che continua a diffondersi, anche in Europa, provocando focolai negli allevamenti di pollame, un’elevata mortalità tra gli uccelli selvatici e salti di specie (spillover) infettando ora anche i mammiferi selvatici e domestici. Questi virus continuano a evolversi a livello globale e, con la migrazione degli uccelli selvatici, potrebbero selezionarsi in modo crescente ceppi portatori di mutazioni per l’adattamento ai mammiferi. In effetti, si sa già che diversi mammiferi possono infettarsi, anche se non sono gli ospiti preferenziali dei virus aviari. I mammiferi selvatici potrebbero però fungere da “ospiti-ponte” tra uccelli selvatici, mammiferi domestici (si pensi ai gatti ad esempio, che vivono nelle abitazioni ma hanno accesso anche all’esterno in ambienti all’aria aperta con la possibilità di interagire con altri mammiferi selvatici potenzialmente infetti) e gli esseri umani. Questi contagi nell’uomo sono oggi casi assolutamente isolati.

Se i virus dell’influenza aviaria però acquistassero la capacità di diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani potrebbe verificarsi rapidamente una trasmissione su larga scala a causa della mancanza di difese immunitarie specifiche contro questi virus nell’uomo. Sarebbe uno scenario rischioso per una nuova pandemia. Per questo occorre intervenire per mitigare il rischio di adattamento di questi virus ai mammiferi e all’uomo, limitando l’esposizione a possibili fonti d’infezione e prevenendo la diffusione degli animali infetti con il loro isolamento e con il loro abbattimento se necessario. In una prospettiva One Health (c’è una sola salute per uomini, animali e ambiente che sono tra loro strettamente correlati) è necessario rafforzare la vigilanza su animali e persone, promuovere la collaborazione tra ambito veterinario e medico, avere la garanzia di poter disporre di diagnosi rapide e attuare misure preventive di vaccinazione.

Se fanno notizia e suscitano allarme i crescenti casi di infezioni nel mondo, alcune nuove altre riemergenti, non bisogna tuttavia avere paura o preoccuparsi più del necessario. Occorre stare accorti ed essere preparati a evitare (se possibile) o ad affrontare (se necessario) queste patologie. Con i germi (batteri e virus) comparsi sulla faccia della Terra tre miliardi di anni fa (quindi molto prima di noi sapiens, che esistiamo solo da alcune centinaia di migliaia di anni) dovremo cercare di convivere, ma anche di difenderci da quelli pericolosi perché causa di malattia. Con sistemi semplici in grado di costituire barriere meccaniche nei loro confronti: dalle norme igieniche più comuni all’impiego di mascherine ove necessarie. Ma anche con sistemi più sofisticati capaci di realizzare difese efficaci: immunologiche, come le vaccinazioni, e terapeutiche, come i farmaci antivirali.