Opinioni

Evidenza scientifica e bene comune. Si può uscire dalla tempesta

Walter Ricciardi venerdì 21 aprile 2023

Il mondo è sempre più complesso e pericoloso, le crisi si susseguono senza soluzione di continuità: quella geopolitica si sovrappone a quella climatica, quella energetica a quella economica, quella sociale a quella sanitaria. Il paradosso è che, rispetto al passato, anche in Italia, avremmo tutte le conoscenze e le risorse tecnologiche per affrontare queste crisi in modo deciso ed efficace, ma invece che utilizzarle ci concentriamo su umori e opinioni che in diversi settori stanno già portando al disastro.
Gli esempi riguardano molti campi. 15 delle 32 città più inquinate in Europa sono in Italia, e non è un caso che le altre 16 siano in Polonia, altro Paese che si sta divaricando dall’evidenza scientifica.

Molti Paesi aumentano gli investimenti in sanità, noi diminuiamo la spesa sanitaria in rapporto al Pil. Abbiamo anche il capitale umano meno performante, non solo dell’Unione Europea ma dell’intera Ocse, e continuiamo a sottofinanziare e mal gestire scuola e università. Non riusciamo a spendere neanche i fondi ordinari europei a nostra disposizione per la inadeguatezza e farraginosità della nostra pubblica amministrazione, e continuiamo a inseguire fondi straordinari che non sapremo utilizzare.

Abbiamo un’economia basata sull’export e invece di supportarla spingiamo su un nazionalismo autarchico che danneggia gli interessi dei nostri imprenditori, ma il paradosso è che anch’essi, basti pensare al mondo agricolo e gastronomico, invece di puntare sull’evidenza scientifica sostengono posizioni antiscientifiche destinate a danneggiare il loro business.
Come se non bastasse, continuiamo a diminuire perché le nascite sono ormai quasi doppiate dalle morti, ma invece di fare senza gradualità estenuanti e, dunque, senza più esitazioni una politica che supporti la famiglia, continuiamo a polemizzare a vuoto e a scoraggiare il lavoro femminile (dove le donne lavorano e possono contare su servizi adeguati la natalità risale) in cui siamo il fanalino di coda dell’intera Ue. E invece di fare una saggia politica migratoria trattiamo il problema quasi solo dal punto di vista emergenziale, peraltro con una sconcertante indifferenza verso i diritti umani essenziali.

Abbiamo pochi giovani, ma invece di farli studiare (abbiamo il record europeo assoluto di Neet, né a scuola né in formazione professionale) li abbandoniamo a sé stessi. Gli italiani che conseguono un titolo di studio superiore sono solo il 17,3% della popolazione adulta, quelli che hanno un dottorato di ricerca una sparuta minoranza, ma invece di tenerceli stretti li “regaliamo” ad altri Paesi, che ne utilizzano talenti ed energie a beneficio delle loro società ed economie.

E potrei continuare, ma il senso di questa riflessione è quello di sottolineare che, mentre noi ci stacchiamo dalla locomotiva europea la Commissione e il Parlamento della Ue stanno profondendo sforzi enormi per far sì che l’Unione affronti in modo efficace le sfide di questo secolo. L’allineamento armonico tra buona politica (la qualità dei componenti della Commissione tutti ex ministri e in qualche caso ex premier dei Ventisette) ha portato in Europa un know how politico forte che sta utilizzando le migliori competenze scientifiche per affrontare problemi cruciali per l’intera umanità. È il caso delle 5 missioni: cambiamento climatico, acqua, suolo e agricoltura, città connesse e cancro, che dopo 3 anni di lavoro hanno proposto piani operativi concreti e fattibili, con risultati positivi per l’intero Pianeta o quello del Panel di Esperti sugli investimenti in Sanità che da dieci anni sforna pareri ed opinioni di livello scientifico assoluto che molti Paesi membri, in primis l’Italia continuano ad ignorare.

Le conseguenze sono nell’aumento delle disuguaglianze a causa di una selezione sociale tra coloro che sono in grado di pagare per le prestazioni e coloro che, non avendo risorse, vedono la propria salute sempre più compromessa, ma ciò non è eticamente accettabile, perché nessun Paese può essere considerato civile se a una persona viene negata assistenza sanitaria perché non ha i mezzi per pagarla e, purtuttavia, è quello che sta, più o meno nel disinteresse generale, succedendo, anche o forse soprattutto in Italia. È un futuro a cui non dovremmo rassegnarci perché sono possibili concrete ed efficaci soluzioni se solo avessimo la volontà politica e la capacità di realizzarle. Esse consisterebbero nel fare adeguati investimenti nel settore sanitario, nel guadagnare salute da parte dei cittadini con comportamenti responsabili, nel puntare con decisione sulla prevenzione e sugli interventi precoci, sull’empowerment (cioè sul complesso dei processi di consapevolezza e partecipazione) delle persone, sulla riorganizzazione dei servizi sanitari. Soluzioni di facile comprensibilità, ma di difficile realizzazione per il tradizionale disallineamento tra i protagonisti del sistema, con i politici propensi a investire in settori che forniscano loro più immediati consensi per essere (ri)eletti e per consolidare il loro potere, manager che sono obbligati a far quadrare i bilanci delle proprie aziende, professionisti concentrati sul proprio orizzonte tecnico, cittadini che quando sono sani vogliono pagare meno tasse possibili, ma che quando si ammalano vogliono accedere immediatamente a prestazioni sempre più costose e, infine, un’industria che vuole “ritorni” sui propri investimenti tesi a produrre tecnologie sempre più efficaci ma con costi crescenti.

Ci sono le premesse per contraddizioni e contrasti tra i diversi protagonisti del sistema a meno che non si abbia appunto la volontà politica, la capacità manageriale e l’impegno civico da parte di tutti – o almeno di tanti – per trovare delle soluzioni che concilino i diversi punti di vista e che siano vincenti nell’interesse generale che è l’altro nome del bene comune. Si tratta di avere la capacità di immaginare, pianificare e costruire un futuro verso cui non transitare come passeggeri passivi perché, dato quanto abbiamo descritto, non sarebbe un futuro armonico, ma alquanto distopico. E di avere il coraggio di impegnarsi, talvolta anche contro i pronostici che ci consegnano un mondo in tempesta e un’Italia avviata verso un inesorabile declino, fuori dai giochi importanti e sempre più indebitata, impoverita, ignorante e marginale. Non abbiamo tanto tempo, ma è un tentativo che dobbiamo assolutamente fare.