Grande accordo dopo piccoli giochi. Si può fare
Difficile credere alle proprie orecchie quando il ministro dell’Economia parla di una manovra che muoverà complessivamente 7 miliardi di euro in due anni e che, escluso un inasprimento dell’imposizione sulle scommesse, prevede solo tagli di spesa e riduzione di imposte. E tutto questo rispettando l’impegno con l’Unione Europea di restare sotto il 3% nel rapporto deficit/Pil. Garantendo pure ai Comuni le entrate previste per il 2013 e, in futuro, uno strumento certo e flessibile di finanziamento. Altro che quadratura del cerchio! Poi ecco – fra le dichiarazioni di soddisfazione e i proclami di «missione compiuta» che subito viaggiano via Twitter – emergere qua e là dalle dichiarazioni dei ministri quei «particolari ancora da definire », i «testi da scrivere», le «cifre da precisare». Insomma, qualche margine di dubbio sul fatto di vivere nel migliore dei sistemi possibili si può ancora legittimamente nutrire, senza per questo essere disfattisti.
Prendiamo per buona, ovviamente, l’assicurazione del premier che la nuova 'Taser' non sarà «un’Imu mascherata» e che non porterà un aggravio nei bilanci familiari. Ma ci perdonerà se, come San Tommaso, vogliamo prima toccare con mano i nuovi meccanismi di calcolo. E così verificare un po’ tutte le voci, perché le scelte compiute siano coerenti con l’obiettivo prioritario: servire il bene comune, che oggi significa soprattutto far crescere il lavoro e sostenere i più deboli.
Sul piano politico, invece, l’esito del Consiglio dei ministri non può che definirsi un capolavoro di equilibrio, un compromesso intelligente che permette a tutti di dirsi vincitori. Il Popolo della libertà incassa lo stop al pagamento dell’imposta sulla prima abitazione. Non è ancora la restituzione di quanto versato lo scorso anno, come promesso in campagna elettorale, ma l’aver cancellato il nome dell’aborrita tassa, dopo 3 mesi di governo 'in condominio' con l’antico nemico, per il Pdl è assai più di un punto a favore.
Sull’altro fronte, pure il Partito democratico può ritenersi comunque soddisfatto. Porta a casa (in tutti i sensi) la riformulazione dell’imposizione sugli immobili sul modello di service tax , con elementi di maggiore progressività. E può vantare di non aver ceduto agli ultimatum del Pdl, 'preservando' risorse per la cassa integrazione e gli esodati. Soprattutto riesce a non offrire alcun pretesto ai malumori del Cavaliere e, più ancora, dei 'falchi' che lo attorniano e insistono per staccare la spina al governo. Anzi, ieri sera era tutto un parlare di «coesione», di «gioco di squadra», un darsi pacche sulle spalle e «abbiamo vinto insieme», come nello spogliatoio di un club di calcio che ha superato i preliminari di Champions dopo aver litigato per settimane su chi dovesse giocare e su quale strategia mettere in campo.
Con il premier Enrico Letta che addirittura sente di poter dire: «Il governo non ha più scadenze» e Berlusconi che lo loda per aver «rispettato i patti». E allora delle due l’una: o fra qualche giorno scopriremo le 'magagne' del grande accordo, i suoi trucchi ed errori, e allora finiremo di stropicciarci gli occhi, tornando a contare i giorni che mancano alla prossima crisi. Oppure, avremo la conferma che «si può fare»: realmente questa maggioranza-Frankenstein obbligata si dimostra in grado di abbassare le imposte, rilanciare la crescita e farci avanzare – pur lentamente e tortuosamente – verso una migliore coesione sociale. Persino – udite udite – fare riforme essenziali eppure sempre rinviate. Ma, se così fosse, sarebbe ancora più ingiustificabile, ancora più inaccettabile per tutti, interromperne l’azione. E la 'condanna' del Paese sarebbe la più pesante di tutte.