Vorremmo non doverci ritrovare a scrivere, ancora una volta, «si poteva evitare». Vorremmo non dover scrivere, ancora una volta, che «non è il terremoto che uccide, ma la casa che ci cade addosso». E che «crolla quello che non può non crollare». Lo abbiamo scritto tre anni fa in occasione del terremoto dell’Aquila, coi suoi 308 morti. Lo avevamo scritto dieci anni fa in occasione del terremoto del Molise che provocò la morte di 27 bambini e della loro maestra a San Giuliano di Puglia. E ancora prima per il sisma dell’Umbria e per quello dell’Irpinia: trentadue anni fa. Per non parlare di frane, alluvioni, incendi e vari altri cosiddetti "disastri naturali". Anni a scrivere che le leggi ci sono ma non si applicano. A registrare le analisi e gli appelli degli esperti che da sempre ripetono che più che prevedere bisogna prevenire. E che serve un piano nazionale per la messa in sicurezza del Paese. E che questa è la vera e necessaria "grande opera", su cui spendere senza risparmi.Anni a denunciare, norme alla mano, ritardi, inadempienze e sottovalutazioni. Lo abbiamo fatto dopo le drammatiche conte dei morti, ma anche prima, quando c’era ancora tempo. Ma poi il tempo passa e, regolarmente, naturalmente, la Terra ci ricorda quali sono i suoi meccanismi, muovendosi con scosse e frane. Tutto ben noto, studiato, scritto, divulgato e messo nero su bianco perfino in ottime leggi, come quelle nate proprio dopo il crollo di San Giuliano. Anche allora si scoprì che quel paesino arroccato sui monti molisani non era classificato sismico, proprio come i paesoni emiliani. Ma inchieste, processi e sentenze, l’ultima in Cassazione è proprio di otto giorni fa, hanno stabilito che quella scuola venne giù perché fatta male, a prescindere dalla sismicità della zona e dalla scossa. Colpevoli progettisti e costruttori e anche amministratori e funzionari comunali. Già, la casa, la scuola, il capannone che ti casca addosso. Anche all’Aquila c’è un processo in corso per la responsabilità di un crollo, quello della casa dello studente. Anche questa costruita male? Toccherà ai magistrati stabilirlo, così come per gli anomali crolli di capannoni in Emilia. Anomali perché ne sono crollati solo alcuni, mentre altri pur tremando sono rimasti in piedi. Costruiti meglio, capaci di resistere a scosse che, pur violente, non hanno raggiunto i livelli di altri terremoti come quelli dell’Irpinia del 1980 o di Messina del 1908, che avevano una forza più di 30 volte superiore.Si è detto che in Emilia non si era costruito in maniera antisismica perché fino al 2003 le norme non lo prevedevano. Ma allora perché sono venuti giù solo quei capannoni e poche case? Mentre il resto, anche se danneggiato, ha retto? Ancora una volta le stesse domande, come trenta anni fa, dieci anni fa, tre anni fa. E con la stessa, drammatica, certezza di dover correre ai ripari. Lo stesso provvedimento del governo di ieri, pur necessario, lo dimostra. Il nuovo aumento delle accise dei carburanti si aggiunge a tanti altri analoghi. In quei poco meno di due euro ci sono tutti, dal Belice del 1968 in poi. Soldi per le emergenze. Ma non sarebbe ora di trovare i soldi per una vera prevenzione? Per mettere davvero in sicurezza case, scuole e capannoni? Sicuramente gli italiani pagherebbero molto più volentieri per questo.E poi li si spenda davvero e bene, i soldi. Evitando quegli assurdi per i quali alcuni Comuni non possono utilizzare gli stanziamenti per la messa in sicurezza delle scuole per non sforare il tetto previsto dal patto di stabilità. Il governo ha deciso ieri di permettere una deroga per la ricostruzione nei Comuni ora terremotati. Non sarebbe meglio anche per la prevenzione? C’è tanto da fare per evitare che case, scuole, capannoni crollino in qualche altra parte del nostro Paese così "ballerino". Noi, un po’ inascoltate Cassandra e un po’ investigatori, continueremo a raccontare storie, denunciare e cercare i perché. Scavando tra le macerie, i documenti, le leggi e le regole non applicate. L’abbiamo fatto per i bambini di San Giuliano, lo faremo anche oggi per i papà operai emiliani. Per non dover più scrivere «si poteva e si doveva evitare».