Anziani, giovani e la promessa-mondo. Sì, il meglio deve venire
Il punto di partenza è dare il giusto significato alle parole. Per esempio, "attesa" che può voler dire aspettare in modo ansioso, ma anche sorridere pregustando già la dolcezza dell’incontro che verrà. E poi "promessa", cioè ipoteca di futuro, virato al bene o al contrario minaccia, verbale e non solo. Senza dimenticare "testimonianza", impegno di verità da portare avanti magari fino al martirio, termine con cui condivide la radice etimologica. Rimescolando tra loro questi concetti, mettendoli nell’ordine corretto, ieri il Papa ha disegnato la parabola umana della vecchiaia che, nel suo insegnamento, più che stagione di raccolto, di riflessione, di nostalgia, è tempo di semina, di sguardo di futuro, pur guidato da altri. Così spetta proprio agli anziani e alle anziane sostenere e dimostrare che «il meglio deve ancora venire» e che sarà nel mondo di Dio, seduti a tavola con Lui.
Perché il venir meno delle forze fisiche, l’affievolirsi della potenza non sono i tiranti con cui abbassare il sipario sull’esistenza, ma il segno che siamo destinati a un "oltre" più grande dove la misura del tempo sarà l’amore, non il successo. Inutile allora perdersi nel mito «delirante» dell’eterna giovinezza, comunque destinata a finire, l’impegno semmai dev’essere quello di cercare nel proprio io di adesso il meglio del sé stesso di prima, per farne storia, memoria luminosa, sapienza condivisa. Nell’insegnamento del Papa, infatti, dalle udienze del mercoledì alle omelie, la vecchiaia non è mai un’isola per naufraghi solitari, ma occasione di dialogo tra le generazioni, base su cui costruire la casa della nuova umanità.
Dalla Gmg brasiliana del 2013 fino al recente viaggio in Canada sono state numerosissime le volte in cui Francesco ha sottolineato la necessità che i nipoti ascoltino i nonni, a loro volta chiamati a essere radice per la fioritura delle benedizioni di Dio. Si tratta cioè di stabilire un legame affettuoso in cui non esistono professori e allievi, ma solo differenti modi di vivere e comprendere i doni che ogni creatura umana riceve in abbondanza. La sintesi profetica si trova nel celebre passo di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». Un flash sulla realtà dello spirito che evoca il camminare insieme, un sentiero comune, per così dire una staffetta, il cui segreto consiste nella reciproca apertura. Quando gli anziani comunicano i loro sogni, i ragazzi vedono meglio la strada da fare e come portare avanti il disegno sul domani, se correggerlo, in quale maniera eventualmente adattarlo ai tempi cambiati. Al contrario, sottolineava il Papa lo scorso febbraio, «se i nonni ripiegano sulle loro malinconie», i nipoti «si curveranno ancora di più sugli smartphone». Vale a dire si chiuderanno al mondo reale esterno e non avranno cielo.
Altro che scarti o dischi stonati, quindi. I vecchi possono diventare il volto della sapienza capace di misurare il tempo, Il collante tra l’oggi che viviamo e ciò che sarà dopo. Per questo il Signore chiede loro un surplus di coraggio, per sé stessi e per gli altri, a cominciare dai ragazzi, cui insegnare che lo scorrere dei giorni non è una minaccia bensì una promessa. Quella fatta da Dio al profeta Geremia, non di successi e trionfi, ma di essere presente nella storia, accanto all’uomo sempre, senza stancarsi mai. Si trova lì il senso della speranza cristiana, che è altro dal banale ottimismo, che non chiude gli occhi davanti alle vecchie e nuove catastrofi, né edulcora il vocabolario dell’orrore. Il suo perimetro, al contrario, è la realtà, da vivere completamente, senza sfuggire nulla. Provando però a guardarla secondo la logica di Dio, ai cui occhi l’anziano e il giovane non sono mondi separati, ma vite differenti unite nella stessa storia.