Lettere. Si dice: riaprire le «case chiuse», ma sarebbe una scelta di cui vergognarsi
Caro Avvenire,
come cittadino e come cattolico provo forte sdegno per la proposta del leader della Lega, Matteo Salvini, di riaprire le case chiuse. Ci vuole coraggio da parte del Carroccio per chiedere l’abolizione della famosa legge Merlin. Personalmente, non sono d’accordo: la prostituzione è contro la dignità umana. È schiavitù. È inconcepibile che sia lo Stato a legalizzarla. A chi dice che questo è il 'mestiere più antico del mondo' io rispondo che anche gli omicidi, i furti e altri atti perversi sono sempre esistiti, ma ciò non significa che debbano essere legalizzati. La prostituzione, comunque e ovunque venga esercitata, testimonia che la vita di queste donne-ragazze non vale niente, se non il prezzo di una vergognosa compravendita di carne umana. Togliere queste persone dai marciapiedi e collocarle in 'case di tolleranza' risolverebbe solo alcuni problemi di ordine pubblico e, forse, di sanità, ma non certamente quelli legati alla sfera etica e di giustizia. Cerchiamo, con il buon esempio di don Oreste Benzi – il grande prete, la cui causa di beatificazione è ufficialmente avviata – di vincere il male con il bene.
Ad ogni campagna elettorale si leva da destra un grido: 'Riapriamo le case di tolleranza'. Evidentemente è un discorso che riscuote consensi: a molta gente che si vanta di essere onesta e perbene urta la prostituzione per strada, è uno spettacolo che vorrebbero fosse nascosto. Personalmente, come il signor Petraglia, trovo intollerabile l’idea di riaprire quelle case. Ogni forma e modo di prostituzione è degradante, e doloroso da vedere, ma il pensiero che, come una volta, si possa tornare a uno Stato maîtresse, che ordinatamente disciplina orari, tariffe, gestione del 'personale', mi pare un salto all’indietro nel tempo, un indecente compromesso nel nome del 'decoro'. Se penso a quelle donne reclutate, schedate e messe a disposizione dei clienti come un 'servizio pubblico', come oggetti necessari alla soddisfazione di un presunto bisogno fisiologico, mi pare incredibile che si possa concepire di tornare a questo sistema, che era possibile solo grazie a una concezione avvilente e arcaica della donna. Non potrei avere alcun rispetto di uno Stato che gestisce la vendita di corpi di donne come cose, prive della dignità che spetta a tutti i cittadini.
Allontanare la prostituzione dalle strade non mi pare del resto il principale dei problemi. Attualmente, la questione drammatica è che una buona parte delle ragazze sui marciapiedi sono giovanissime, spesso
minorenni, e straniere. Importate come merce e 'comprate' per pochi euro da uomini, magari padri di famiglia, che non sentono evidentemente alcun imbarazzo nel mettere le mani su delle coetanee delle loro figlie.
Il signor Petraglia evoca don Benzi. Lo ho conosciuto e seguito nei suoi giri sulle strade della Rimini notturna, che percorreva con la tonaca nera e le grosse scarpe pesanti, inarrestabile come un carrarmato. Ricordo la tenerezza e il rispetto con cui lo vidi avvicinarsi a una anziana prostituta, una maschera tragica, ancora davanti ai falò a quasi settant’anni. Ricordo come lei lo osservava, prima cinica, poi diffidente, poi stupita per quell’uomo che la guardava come da tanto tempo non la guardava nessuno. Come una persona, e una persona molto cara a Dio.
Benzi era un uomo santo, e forse è troppo pretendere di saper guardare come lui. Ma se, nel buio della notte, ai semafori, vedendo una prostituta riuscissimo a pensare che quella è una donna, una figlia, che magari non arriva a vent’anni, che da chissà quali traversie e umiliazioni è stata condotta lì, potremmo, invece di indignarci, provare compassione. E non desiderare che quelle povere ombre notturne, in nome del 'decoro', divengano invisibili in case di tolleranza – cosa che aumenterebbero solo la nostra vergogna.