Caro direttore,leggo su "Avvenire" (in Agorà del 30 ottobre) un articolo di Anna Foa, che mi affibbia l’accusa di «negazionismo» e mi fa dire cose che non ho mai detto, tipo: «quella dei sostenitori della Shoah è un’opinione dominante». Io non credo affatto che l’Olocausto sia «un’opinione», e non l’ho mai detto. Ho detto invece, in una discussione a proposito della verità storica, che la maggior parte delle persone, me compreso, spesso scambiano per fatti le opinioni che hanno visto nei film, o letto nei romanzi e sui giornali. Il mio punto era banale: la storia si impara sui documenti e sui libri di storia, e non in opere che mescolano realtà e fantasia, e spesso (come nella mia vicenda) diffondono falsità. I primi forniscono conoscenza, e le seconde opinioni. Tutto qui. Dunque, semmai, il mio discorso era un incitamento a studiare e imparare seriamente ciò che è accaduto nel passato, invece di accontentarsi di ciò che viene raccontato, più o meno fedelmente, a volte romanzando e altre inventando. Questa banalità non è stata recepita da un’unica persona che ha letto una frase di un mio commento in un blog, all’interno di una lunga discussione epistemologica sulla verità. Quell’unica persona ha twittato 140 caratteri da lui estrapolati ad arte da quella discussione, e che da allora sono rimbalzati in rete e sui giornali. E tutti coloro che ne hanno scritto dopo, compresa la signora Foa, si sono limitati a dare la loro opinione su quella base, senza prendersi nemmeno la briga di chiedere a me se veramente credo alle cose che mi vengono attribuite (e non ci credo!), e tanto meno andare a leggerle dove potevano leggerle. Il che non fa che confermare che i giornali diffondono opinioni di opinionisti, non a caso chiamati appunto così. E che se uno vuole sapere come sono andate le cose, deve informarsi altrove. Nel caso comunque non si fosse capito, lo ripeto: io non sono negazionista, e non credo che l’Olocausto sia un’opinione. Ma credo che sia meglio non basarsi su ciò che dicono i giornali, per sapere la verità, e questa vicenda non può che confermarmelo. Cordialmente, e con molti ringraziamenti per l’ospitalità.
Piergiorgio OdifreddiLei, gentile professor Odifreddi, è liberissimo di pensare tutto il male possibile non solo dei giornali e dei giornalisti, ma anche degli opinionisti che li accompagnano nella fatica di dare conto dei fatti dell’umanità e del mondo e di indagarne il senso. Ma non può negare l’evidenza. E l’opinione di radicale dubbio sulla Shoah, che ha espresso lo scorso 16 ottobre, non è una opinione mia, della professoressa Foa e di qualche altro malevolo lettore e/o interprete. È una sua opinione. Ma vedo che oggi lei si esprime in modo assai diverso, per nulla ambiguo e lontano mille miglia – soprattutto nelle ultimissime, asciutte e meno risentite righe di questa lettera – dai ben noti e squallidi tic polemici dei negazionisti dell’Olocausto. Per questo sono lieto di darle ascolto e risposta, sorvolando su altre valutazioni ed espressioni che considero suoi nuovi “infortuni” e che non condivido affatto... Proprio come non apprezzo e non condivido, peraltro in ottima compagnia, ciò che lei ha testualmente scritto in quel suo blog online che è all’origine del caso. Ricordiamolo. Lei ha dichiarato che «Il processo (di Norimberga) è stato un’opera di propaganda» e ha anche ritenuto di dover ricordare ciò che qualche gerarca nazista sotto processo affermò altezzosamente davanti ai giudici, e cioè «che se la guerra fosse andata diversamente, a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati». Quindi, in modo molto netto, ha affermato: «Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato». Pare anche a me, insomma, che sia difficile smentire che in quel testo lei abbia definito un’immensa, tragica e innegabile mole di notizie e di documentazione sui lager e le camere a gas dei nazisti e, dunque, sulla Shoah un’«opinione», anzi un’«opinione comune» (e qui effettivamente lei ha usato l’aggettivo «comune» non quello «dominante», ma se non è zuppa è pan bagnato…). Penso perciò che lei avrebbe fatto una cosa buona e giusta se, invece di accusare l’universo mondo di travisare il suo pensiero, avesse immediatamente raddrizzato quelle affermazioni storte e, magari, avesse anche chiesto, non dico perdono (troppo religioso e troppo cristiano…), ma almeno laicamente scusa a tutti coloro – ebrei e no – che sono stati feriti e offesi dalle sue parole. Naturalmente, capisco il suo disagio. Molto meno l’invito a ripercorrere tutto il pensiero a cui si è abbandonato in quell’occasione, che – tanto per cambiare – è pieno di approssimativa acredine verso la Chiesa e verso i credenti. E, comunque, c’è una cosa che salta subito agli occhi: per quanto si contestualizzino, quelle sue frasi sullo sterminio pianificato da Aldolf Hitler sono e restano indubitabilmente e gravemente sbagliate (proprio come altre che sono state al centro di ancora recenti casi di insensatezza polemica e persino di blasfemia…). E su “Avvenire” Anna Foa, che a differenza sua, professor Odifreddi, è una storica di vaglia oltre che una valente opinionista, ha saputo spiegare con efficacia e senza forzature il perché. Lei, ora, qui, brontola e si guarda bene dall’ammettere l’errore, ma poi di fatto si spiega e si corregge. Bene, ma ci provi davvero: per chiedere scusa non bisogna obbligatoriamente credere in Dio... Ricambio il suo cordiale saluto.