L'intervento. Shoah, complice è l’indifferenza. Quanto è difficile stare con gli ultimi
Pubblichiamo l’intervento pronunciato da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, martedì al Binario 21 di Milano in occasione della commemorazione della partenza per Auschwitz di Liliana Segre, presente all’evento che si tiene ogni 30 gennaio da 28 anni.
Per me è un onore prendere la parola al Binario 21, per ricordare quant’è accaduto ottant’anni fa. È anche una responsabilità, perché non bisogna smettere di ricordare. E ricordare ogni anno è differente. È diverso il contesto storico, politico, drammatico, come quello che stiamo oggi vivendo. Ricordare quel giorno in cui Liliana Segre partì da questo binario nascosto, dopo la drammatica vicenda che ci ha raccontato. Quel trasporto doveva essere nascosto: già iniziava l’occultamento dell’orrore che sarebbe continuato e continua con il negazionismo. Partì verso destinazione ignota, densa di tristi presagi. Liliana -guardando a lei pensiamo anche agli altri non più tornati- sarebbe diventata un numero sperduto nel sistema concentrazionario nazista, sbattuta dalle onde del caso e della volontà di sterminio.
Mi ha fatto impressione trovare un fascicolo su di lei e il padre Alberto nell’Archivio Vaticano tra tante lettere di dolore. Un parente, Oscar Foligno, lancia una bottiglia nel mare del male, scrivendo alla nunziatura di Berna perché inoltri il seguente messaggio: «pensavi con tanto affetto/ tranquillizzatemi vostro stato di salute/ indicando se possibile invio pacchi… Abbiate fede. Vi abbraccio». La Croce Rossa italiana e le autorità fasciste di Salò rifiutano di inoltrarlo: si tratta di ebrei. Un saggio della responsabilità fascista nella Shoah italiana che non possiamo dimenticare. La storia di Liliana, come quella degli ebrei italiani, è segnata dalle complicità italiane. Non si deve dimenticare il ruolo del fascismo con le leggi razziste (perché continuiamo a chiamarle razziali e non razziste?) e con la collaborazione volenterosa alla deportazione. La complicità fascista non è una “sbandata”, nata per caso, ma è la conseguenza dei presupposti del regime.
In quel fascicolo ho trovato una lettera del Sostituto della Segreteria vaticana, Montini, il futuro Paolo VI, che scrisse a Berlino per «la giovinetta Liliana Segre». Anche quell’intervento si scontrò con il netto rifiuto, perché si tratta di «non ariana». Più volte la senatrice ha spiegato come si trovò - lei bambina - cucita addosso, senza sapere perché, la definizione di “non ariana”: «Io non avevo sentito mai parlare in casa di ebraismo, non sapevo molto sulla storia della mia famiglia, mi ero sentita sempre uguale alle mie compagne...». Si trova addosso il marchio di nemica della patria. Perché? È l’inspiegabile logica dell’odio antisemita. Nel vittimismo fascista e nazista, gli ebrei erano i nemici e gli aggressori, da cui bisognava difendersi preventivamente. La bambina aveva già scoperto la fragilità del suo mondo. C’è una pagina bellissima su San Vittore, quando si accorge che Alberto Segre, un «padre meraviglioso» che la proteggeva, non era più un uomo forte. Pensate a cosa vuol dire per una bambina scoprire che il padre è vinto! Liliana scrive: «Ero diventata vecchia. Lui tornava dagli interrogatori pallido, terrorizzato, e io non ero più la sua bambina, ero diventata la sua mamma».
Ha proposto, per identificare il male peggiore che accompagnò l’ora della deportazione una parola: indifferenza. La si è messa al centro di questo memoriale. «L’indifferenza è complice - ha detto -. La solitudine del perdente, la solitudine del malato, del povero, dell’emarginato, è lì che scatta l’indifferenza... Eh sì, è facile stare col vincitore. Ma quanto è difficile stare con gli ultimi». È un saggio dell’umanesimo, che sgorga dalla memoria della Shoah che Liliana Segre coltiva. Attorno alla lotta all’indifferenza, memoria bruciante e risorgente tentazione di voltarsi dall’altra parte, si è costruito tanto di questo luogo della memoria. Un luogo originale, perché non monumentale, ma tenuto vivo dall’anima che Liliana gli ha dato, dalla passione della Comunità di Sant’Egidio, dall’impegno della Comunità ebraica di Milano. E la biblioteca del SEDEC sta proprio bene qui: mette al centro il libro. E il libro è memoria.
Un luogo che parla all’oggi, quando l’impotenza rischia di risolversi in indifferenza. Avviene di fronte alla brutalità delle guerre, del terrorismo (come non pensare al 7 ottobre in Israele e al terrorismo di Hamas?). Sì, perché l’impotenza di fronte agli scenari del mondo globale in guerra genera -maledettamente - indifferenza di massa. Gli immensi scenari del mondo globale provocano paradossalmente maree di indifferenza. Il Binario 21 lotta contro l’indifferenza, anche agendo. Ricordo, anni fa, di avere trovato qui accolti i profughi siriani. Il Binario 21 chiede di partecipare ai destini dolorosi di popoli travolti dalle guerre e dal terrorismo. Lotta contro il risorgente antisemitismo. Lotta riunendo qui, nella memoria, anche nuovi italiani, ma soprattutto ebrei, musulmani e cristiani: gente che non vuole praticare la religione più praticata oggi, l’indifferenza!
Cara Liliana, tu sei divenuta un segno di questo impegno: dal Senato alle scuole... ovunque. Hai saputo trasformare la memoria del dolore in coscienza vigile sui pericoli dell’odio. Siamo in un tempo in cui parecchi si rannicchiano in un angolo. Ma la senatrice Segre, senza protagonismi, con misura, senza attitudini enfatiche estranee al suo stile, rappresenta una grande italiana che mostra come oggi si debba essere grandi, non si possa essere piccini, meschini, avari, altrimenti si è trascinati dall’indifferenza. Mentre condividiamo con te la memoria dolorosa di ottant’anni fa, ti diciamo il nostro affetto. Con te, sempre qui ci saremo!