Il direttore risponde. Sguardi sbagliati, sbagli ripetuti
Caro direttore,
siamo abbonati ad 'Avvenire' dall’epoca della battaglia sul divorzio, e non siamo d’accordo sulle strumentalizzazioni della morte e della figura dell’amato e indimenticabile cardinal Martini che certa stampa laicista tenta in questi giorni. Altrettanto però non siamo d’accordo con le posizioni del giornalista-scrittore cattolico Antonio Socci espresse con veemenza sul giornale 'Libero' e anche in tv. Premendoci le sue opinioni, direttore, sempre lucide e puntuali e che apprezziamo, le chiediamo di esprimerci il suo pensiero su quanto detto e scritto da Socci a proposito del cardinal Martini. Abbiamo pregato e riflettuto prima di indirizzarci a lei, ma desideriamo toglierci un lecito e giustificato turbamento. Grazie a lei e a tutti i giornalisti per la qualità del vostro lavoro e per come confezionate il giornale.
Luisa e Florindo Andreotti, MiIano
Caro direttore,
ho apprezzato molto il suo editoriale, apparso sabato scorso su 'Avvenire', per chiarire ulteriormente le idee sul decesso del grande vescovo Carlo Maria Martini e di questo la ringrazio sentitamente. Non mi pare però che il suo giornale abbia scritto qualcosa di forte in difesa del cardinale dalle accuse rivoltegli da Antonio Socci, sia su 'Libero' che sul sito personale. Non credo che questa persona faccia un buon servizio al giornalismo cattolico.
padre Giorgio Bontempi c.m.
Caro direttore,
la ringrazio della ripetuta e più che dovuta sollecitazione (prima nel suo fondo di sabato 22 settembre, poi con la risposta a Vito Mancuso martedì 25) a un «laico inchino» davanti alla testimonianza umana e cristiana che il cardinal Martini ha dato durante la sua vita e nel dramma della morte, un «laico inchino» è il riconoscimento della dignità di un uomo, una dignità che è stata esemplare di fronte a ogni condizione, anche la più difficile. Io mi inchino anche in modo tutto cristiano a riconoscere che il cardinal Martini è stato uomo fino in fondo, fino a riconoscere la dipendenza da cui origina ogni sospiro della vita, anche quello più affannoso, anche quello terminale. È il mio un inchino cristiano a riconoscere che il cardinal Martini come ha vissuto per Gesù, così è morto affermando che Lui, e solo Lui è padrone della vita, e consegnargliela è ottenerla per sempre, è saperla compiuta. Mi chiedo perché mai continui invece lo stillicidio di polemiche tese a incrinare il ricordo del cardinale da parte di chi un «inchino laico» non riesce proprio a farlo. Mi ha colpito leggere la risposta imbarazzata e aggressiva che oggi (ieri, ndr) Eugenio Scalfari ha ritenuto di dare non a lei che l’aveva interpellato con cortesia perché correggesse il falso racconto fatto sulla prima pagina di 'Repubblica' della morte per eutanasia di un Martini che si sarebbe fatto «staccare dalle macchine che lo tenevano in vita», ma ancora a Vito Mancuso che dopo aver scritto a lei, ha scritto più o meno le stesse cose anche a quel giornale. Che tristezza...
Gianni Mereghetti, Abbiategrasso (Mi)
È vero, cari signori Andreotti e caro Padre Bontempi, Avvenire non ha preso di petto direttamente Antonio Socci.
Tuttavia, oltre a pubblicare lettere severe con lui, io stesso – che stimo molto Socci (come uomo, come padre e come giornalista) ma che non sempre condivido le sue valutazioni – ho criticato apertamente chi ha strattonato da sinistra e da destra il cardinal Carlo Maria Martini, perché – scrivevo il 12 settembre scorso – «vorrebbe facesse adesso (proprio adesso che 'vede faccia a faccia' l’Amore, la Parola e la fonte di ogni Carità) quel che non fece in vita e nei ventidue anni e mezzo da Arcivescovo di Milano, ovvero l’anti-papa». Non amo, gentili amici, le polemiche smodate e portatrici di confusione e so che la forza dei fatti finisce sempre per prevalere, ma al momento giusto (che spero giusto) cerco sempre di dire una parola utile. Credo che anche stavolta tanti lettori abbiano capito bene che secondo me Socci ha sbagliato come ha sbagliato il professor Vito Mancuso anche se su Martini hanno sguardi diversi e – cito ancora quello che scrivevo il 12 settembre – un «radicalmente opposto parere». Non voglio sostenere che anche in questo caso, secondo un’antica saggezza, la verità sta semplicemente nel mezzo. Voglio dire che la verità sta davvero nella Croce, nell’alto e nel basso, nel verticale e nell’orizzontale della croce di Gesù Cristo che Carlo Maria Martini ha portato in petto, nelle sue visioni (anche problematiche) e nella sua missione fedele nella Chiesa.
E vengo a lei, caro professor Mereghetti. Le confesso che un po’ sorpreso lo sono anch’io. Non mi aspettavo che Eugenio Scalfari scaricasse su qualcun altro i propri sbagli... E invece, ieri mattina, questo il fondatore di 'Repubblica' ha fatto nella pagina delle lettere del suo giornale, attribuendo la falsa informazione messa in giro ad «alcune agenzie» (non ce ne sono, infatti Scalfari non può citarne) e a non si sa a quali «giornali che uscirono a brevissima distanza dalla morte del cardinale» (nessun altro giornale ha descritto quell’inesistente «stacco» da macchine che avrebbero prodotto vita artificiale). Per di più l’illustre collega, troppo illustre per dialogare senza l’intermediario Mancuso con 'Avvenire', cerca di tenere il punto sostenendo che 'sedare' per far soffrire di meno un morente sarebbe uguale a 'procurare' la morte, dimostrando di sapere davvero poco di dottrina cattolica (e non c’è da stupirsene) e di cure compassionevoli (e, allora, gli sarebbe utile leggere quel che scrive, a pagina 18, un luminare come il professor Gigli). Già: che tristezza..., sono d’accordo con lei, professor Mereghetti. Qui si cerca di 'sedare' la verità e di addomesticarla irrispettosamente alle tesi dei propagandisti dell’eutanasia. Spero che la cosa faccia riflettere noi cristiani e tutte le persone intellettualmente libere e oneste. Poteva arrivare l’altra metà del «laico inchino» al cospetto della vita e della morte del cardinal Martini, e invece da Scalfari è arrivata solo una finta un po’ goffa.
O, forse, un inchino a se stesso.