Il direttore risponde. Servire lo Stato, servire l'Europa
Caro direttore,il dottor Bini Smaghi, incaricato di rappresentare l’Italia nella Bce, confonde questo incarico con un qualunque incarico operativo assegnato all’interno di una qualunque azienda multinazionale. Così facendo, fa capire a tutta Europa che i suoi personali interessi (per quanto possano essere legittimi) contano di più della credibilità internazionale del sistema Italia, di chi lì lo ha designato, e di chi da lì, ora, gli chiede di rientrare. Il semplice cittadino resta sconcertato. Ma anche la stampa italiana evita di commentare! Già abbiamo molti cattivi esempi che ci vengono dalla politica: da chi non vorrebbe mai ritirarsi e da chi per ritirarsi pretende compensazioni con nuovi incarichi lautamente retribuiti. Che ora ci facciano accettare come normali anche la disobbedienza istituzionale di chi, designato dalla politica, ricopre temporaneamente ruoli di alta responsabilità in Italia o all’estero è un ulteriore insulto alla nostra dignità e alla nostra sovranità di cittadini. Mi aspetto che le cattive regole della "casta" vengano, almeno in questo caso, ignorate e che il dottor Bini Smaghi venga trattato come avviene per chiunque si dimostrati inaffidabile verso chi lo ha nominato. Troverà sicuramente spazi, per la sua indubbia professionalità, in aziende del privato. Ma sia allontanato dal novero dei grandi dirigenti della Pubblica Amministrazione che, storicamente, sono sempre stati chiamati "servitori dello Stato".Claudio Romano, UdineComprendo il suo sconcerto, caro signor Romano, e non ho difficoltà a dirle che provo un sentimento simile al suo. Ma raddoppiato: un doppio sconcerto. Cerco di spiegarmi, partendo dal primo motivo di sconcerto che coincide quasi esattamente con il suo. So bene, infatti, che l’italiano Lorenzo Bini Smaghi all’interno del Comitato esecutivo della Banca centrale europea non rappresenta formalmente l’Italia, bensì tutti i Paesi che lo hanno designato. E so che la forma è sostanza. Ma so anche che si può salvare la forma, senza rispettare e preservare beni sostanziali. E il fatto che nel cuore decisionale della Bce siano rappresentati in modo equilibrato i grandi Stati dell’Eurozona è certamente un interesse realisticamente ancora importante (se oggi a porre la questione è il governo di Parigi, dopodomani potrebbe essere quello di Roma). Il problema, insomma, non è certo la qualità personale e professionale di Bini Smaghi, ma la situazione di squilibrio in seno alla Bce che si è creata con l’importante e prestigiosa nomina di un altra personalità italiana, l’ex governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, alla presidenza dell’Istituto di Francoforte. A fronte di questo chi, come lei e me, ha un’idea del "grand commis" (cioè dell’alto funzionario pubblico) fondata sulla competenza, sulla lealtà, sullo spirito di servizio e – quando necessario – su quello di sacrificio si sarebbe aspettato un bel gesto di Bini Smaghi. Tanto più che conoscendo e riconoscendo in lui le prime tre virtù, si dà quasi per scontata l’ultima: la capacità di compiere un sacrificio personale su richiesta del proprio Paese e per ragioni comprensibili e persino nobili.Quest’ultimo aggettivo mi porta, per contrasto, al secondo motivo di sconcerto. Che deriva dall’insistenza e dall’aggressività per nulla nobili (o anche solo amicali) con la quale la questione della rinuncia del «secondo italiano» di vertice alla Bce – in scadenza "naturale" tra 19 mesi, il 31 maggio 2013 – è stata posta dalle massime autorità di Parigi, a cominciare dal capo dell’Eliseo. La trovo plateale e insopportabile, tanto quanto un risolino divenuto ormai famoso. Anche perché mi torna davanti agli occhi la scena di un vertice – tenutosi pochi giorni fa, nel corso nelle maratone europee per il varo delle cosiddette misure salva-Stati – tra i due principali Paesi della Ue, Germania e Francia, il presidente della Bce allora in carica e il direttore del Fondo monetario internazionale. Ebbene, riuniti assieme al cancelliere di Berlino Angela Merkel c’erano il presidente Nicolas Sarkozy, Jean-Claude Trichet (Bce) e Christine Lagarde (Fmi). Tre francesi. Mi pare che ci sia ben poco da aggiungere. Mi verrebbe da commentare che la prossima volta – in una circostanza analoga – i francesi saranno "solo" in due. Ma non posso fare a meno di dire anche, caro amico, che aspetto con ansia il giorno nel quale per poter svolgere (o continuare a svolgere) un ruolo da "servitore dello Stato" nelle istituzioni dell’Unione basterà essere "cittadini europei" di comprovata capacità. Un po’ quello che speravo stesse accadendo, proprio in questa fase critica, con la chiamata di Draghi a Francoforte... Sogno una politica, e leader politici, che in Italia e altrove lavorino per questo, con la lucidità e la passione – già allora contrastate da tenaci nazionalismi e da ambizioni di grandeur – dei padri fondatori dell’Europa pacificata e unita.