Africa. Serve più coraggio sui minerali di sangue
«Dove non passano le merci, passano gli eserciti», affermava nell’Ottocento Frédéric Bastiat, economista e scrittore francese di ispirazione liberale. In effetti, gli interessi economici hanno da sempre condizionato il destino dei popoli. Basti pensare a quanto è avvenuto, ad esempio, in questi anni nell’Africa subsahariana, dove sono state combattute sanguinose guerre civili con l’obiettivo di tutelare gli interessi legati allo sfruttamento delle commodity – materie prime – da parte di potentati stranieri, con la complicità delle oligarchie locali.
È per questo motivo che l’accordo politico in sede europea sugli obblighi legali per la cosiddetta parte a monte della filiera di approvvigionamento di alcuni minerali detti rari, che include anche fonderie e raffinerie, rappresenta un traguardo, almeno sul piano formale, da non sottovalutare. Si tratta in sostanza di un’intesa incentrata su un quadro legislativo per impedire ai numerosi gruppi armati che operano nelle martoriate periferie del mondo di finanziarsi mediante il commercio illegale di minerali. Ma attenzione, il cammino è ancora lungo e tutto in salita. Infatti, come è stato rilevato da autorevoli esponenti della società civile e del mondo missionario, l’accordo rappresenta idealmente un primo passo nella giusta direzione, ma concretamente lascia molto a desiderare, non foss’altro perché la normativa, alla prova dei fatti, prevede possibili esenzioni dalle nuove regole per la stragrande maggioranza delle aziende europee.
Questo in sostanza significa che l’incolumità della povera gente nelle aree di conflitto dipenderà dall’applicazione di pratiche di approvvigionamento responsabili parzialmente affidate alla buona volontà degli attori del commercio. Se da una parte è vero che l’accordo politico prevede una revisione dopo due anni, per verificare l’impatto delle nuove regole, dall’altra è evidente che gli interessi commerciali coinvolti sono notevoli. Tutti sanno, infatti, a Bruxelles che le resistenze da parte delle lobby industriali, sostenute dalle frange più conservatrici del Parlamento, hanno sempre esercitato forti pressioni per evitare l’approvazione di una normativa efficace in una materia così scottante. La preoccupazione degli operatori del settore è sempre stata quella di salvaguardare i ricavi in una stagione in cui le turbolenze dei mercati hanno penalizzato molte imprese europee (già in difficoltà per la crisi economica).
Una cosa è certa, il traffico di minerali 'insanguinati', come coltan e tungsteno – che servono a produrre cellulari, computer, gioielli e i cui proventi alimentano troppo spesso gruppi di feroci formazioni ribelli nelle aree di conflitto – rappresenta un fattore altamente destabilizzante per molti Paesi del Sud del mondo e una delle cause del fenomeno migratorio. D’altronde la posta in gioco è alta, se si considera che il giro d’affari stimato per le mafie delle miniere e per gli altri attori economici e non, coinvolti nell’estrazione e nel commercio dei minerali insanguinati, raggiunge le centinaia di milioni di euro. Un flusso di denaro che alimenta l’intreccio perverso tra organizzazioni criminali, conflitti e terrorismo.
E c’è anche da ricordare che, con una percentuale di quasi il 35% del commercio globale, la Ue è uno dei più grandi importatori di stagno, tantalio, tungsteno e oro, in forma grezza o concentrata. Detto questo, occorre comunque evitare il sentimento del disfattismo. Come ha rilevato il commissario europeo al Commercio, Cecilia Malmström, alcuni aspetti rilevanti, dal punto di vista tecnico-normativo, rimangono ancora da definire. Il che in sostanza significa che questa nuova regolamentazione, se non includesse le eccezioni o esenzioni di cui s’è detto sopra, potrebbe fare dell’Unione europea il maggiore blocco commerciale al mondo capace di promuovere scambi e relazioni commerciali all’insegna della responsabilità economica e sociale. Comunque, un segnale nella giusta direzione.