Stretta in Cina. Videogiochi: l’argine serve ma non basta
Nel mondo esistono 2,5 miliardi di persone che usano i videogiochi. Secondo l’associazione dei produttori di videogame, sono circa il 43% delle persone tra i 6 e i 64 anni e nel 2020 hanno generato un fatturato di 153 miliardi di dollari. Molto più del cinema, della musica e di tutte le altre forme di intrattenimento. Un quinto di questo fiume di denaro, circa 33 miliardi di dollari, va alle società cinesi che producono videogiochi. L’altra faccia della medaglia è che la Cina – secondo il governo – ha quasi 24 milioni di ragazzi «intossicati dal digitale» e di questi 18 milioni sono «malati di videogiochi».
Ci giocano talmente tanto (anche la notte) da avere «sempre più problemi di miopia e rendimenti scolastici in vistoso calo». Per questo l’Amministrazione nazionale della stampa e delle pubblicazioni, cioè l’organo cinese che sovrintende anche il digitale, ha deciso che da adesso in avanti «i minori potranno giocare online soltanto per un’ora al giorno, dalle 20 alle 21 da venerdì a domenica, e comunque per un massimo di tre ore settimanali».
Per noi genitori italiani di figli adolescenti che sempre più spesso ci troviamo a chiedere (a volte anche ad urlare) ai nostri ragazzi di smettere di giocare con telefonini e pc e di tornare alla realtà viene difficile a prima vista non applaudire alla decisione del governo cinese. Ci diciamo: come sarebbe bello se anche da noi venisse messo un divieto così. Quanti problemi ci risolverebbe. Quante sfuriate, quante parole, quante discussioni ci risparmierebbe. Eppure già due anni fa, nel 2019, il governo cinese aveva vietato ai minorenni di giocare online più di novanta minuti nei giorni feriali e per più di tre ore nei fine settimana e nei giorni festivi. In più aveva vietato loro i videogiochi dalle 22 alle 8 di mattina. Il problema però non solo non è stato risolto, ma non si è nemmeno attenuato. Molti ragazzi, raccontano i giornali cinesi, hanno aggirato i divieti aprendo e usando profili di parenti anche avanti con l’età così da moltiplicare il proprio tempo di gioco.
Perché i divieti – anche quelli giusti e sensati – da soli non bastano. Tanto più se arrivano da un governo che su altri aspetti adotta politiche e scelte quantomeno discutibili. Questa stretta che mira al benessere dei ragazzi, per esempio, porterà anche alla schedatura dei ragazzi che giocano online, così da poterli controllare sempre di più e sempre meglio nelle loro attività digitali. D’ora in avanti, non a caso, le piattaforme di videogioco saranno obbligate a richiedere ai giocatori (non solo minorenni) di identificarsi attraverso il riconoscimento facciale così da essere certi della loro identità.
Il dottor Tao Ran, che è uno psichiatra e un colonnello dell’Esercito popolare cinese, non ha dubbi: «Quella che colpisce i ragazzi cinesi è una piaga». Lui la chiama «eroina digitale». E nel suo centro di riabilitazione di Daxing, vicino a Pechino, promette di curare i ragazzi intossicati dal digitale. Dice di averne già curati 8mila. «Bastano dai tre agli otto mesi e tornano normali». Quando vedi le foto del suo centro ti viene una stretta al cuore: sembra un carcere militare. In Cina ha fatto scuola. Oggi esistono quasi 250 centri così. Per curare i ragazzi chiedono alle famiglie l’equivalente di 1.000 euro al mese (per la Cina sono un sacco di soldi visto che uno stipendio medio è pari a circa 810 euro).
Il dottor Tao Ran dice di tenere davvero ai ragazzi e ai genitori che glieli affidano dice: «Dobbiamo insegnare loro a trovare un equilibrio». Ma non tutti sono così. Nel 2009 uno di questi centri è stato chiuso e 13 persone arrestate per avere ucciso a botte un ragazzo portato lì dai genitori per salvarlo dagli eccessi digitali. L’educazione, come amava dire don Bosco, «è cosa di cuore». Senza cuore, dedizione e impegno non bastano regole o centri che possano aiutare davvero i ragazzi a crescere.