Opinioni

Polemiche. Sequeri: la friabile teologia di Eugenio Scalfari

Pierangelo Sequeri giovedì 16 gennaio 2014
Nella memoria della mia ormai lunga carriera di insegnante di teologia è rimasto impresso un piccolo caso paradossale, che ricordo sempre con un misto di tenerezza e di imbarazzo. È d’uso, fra i candidati alla consacrazione sacerdotale, preparare per tempo l’immaginetta-ricordo, con una frase biblica o un motto spirituale. Dopo essermi felicitato con uno degli studenti del seminario, che mi aveva consegnato la sua, vi ho letto: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». L’indicazione dell’autore della citazione, però, non era Giovanni (1, 14), era Paolo VI! L’episodio mi è venuto alla mente quando, leggendo con crescente sgomento l’editoriale di Eugenio Scalfari sull’abolizione "francescana" del peccato, sono arrivato alla frase: «L’uomo è libero e tale fu creato, afferma Francesco». In quel momento lo sgomento è stato alleggerito da un sorriso. L’emozione dei colloqui col papa Francesco deve essere stata tale, mi sono detto, che l’uomo di mondo si è lasciato vincere dall’entusiasmo per la persona, indubbiamente eccezionale, fino a sortirne qualche effetto di disorientamento. Il disorientamento ha prodotto qualche enormità di attribuzione, in positivo e in negativo. Eccesso positivo, quando si pongono a fondamento della "rivoluzione" del Papa affermazioni che sono semplicemente pilastri della tradizione biblica e della fede cristiana. Eccesso negativo, quando si parla di un Papa che, per la prima volta nel cristianesimo fa «della predicazione evangelica il solo punto fermo» e perciò, conseguentemente, «abolisce il peccato». Nel cristianesimo, se parli di legge e di grazia, di amore e di peccato, sempre fai appello alla dignità della coscienza e alla scelta della libertà. Non potresti neppure formulare i concetti, altrimenti. Da Abramo a Paolo, Dio vuole essere amato, e non subìto: è per questo che si parla di fede. E nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo – è parola di Gesù – ci sono tutta la Legge e i Profeti. È vero che si possono sempre riprodurre le derive di una religiosità ossessiva, che impernia tutto sull’oscura vischiosità del peccato, dimenticando la potenza dell’amore di Dio. Così come del resto ci sono giulive rimozioni del dramma della colpa che, facendone una semplice creatura del caos, svuotano la libertà di ogni passione per la giustizia. Il cristianesimo stesso, ogni volta e per se stesso, anzitutto, deve ristabilire il giusto contrappunto. Ma non c’è proprio nulla da inventare. Per il resto, la novità dell’incarnazione redentrice del Figlio, professata dai cristiani, è certamente una rivelazione inaudita e dirimente della verità di Dio: ma non alternativa e contrapposta a quella di Abramo e di Mosè. Neppure nei momenti di maggiore tensione, fra cristianesimo nascente e giudaismo, il dogma ecclesiastico ha ceduto all’idea della contrapposizione fra il Dio "cattivo" della Bibbia ebraica e il Dio "buono" del Vangelo cristiano. La tesi, coniata dal vescovo Marcione – siamo nel II secolo! – è combattuta come eresia pura e semplice. Quanto poi alla breve storia dell’Universo che ricostruisce lo sfondo della presunta "rivoluzione" di Francesco, mi è più difficile non cedere allo sconforto. Non c’è quasi nessuna parola al posto giusto, e spesso le parole giuste non hanno il loro posto. (A parte il fatto che il Dio di Abramo e di Mosè vi risulterebbe irriconoscibile anche per loro stessi, persino Spinoza e Kant sorriderebbero per la boutade della contrapposizione fra legge e diritti che fa capolino). Su tutto il repertorio, insomma, siamo troppo al di sotto delle prove migliori del Nostro, ossia quelle autobiografiche, che abbiamo persino letto con sincero interesse. Qui la sonata mi sembra troppo a orecchio. Insomma, possiamo ragionare utilmente sull’opinione difforme, non ci scandalizziamo della passione ideologica, e capiamo anche la necessità giornalistica. Ma non abbiamo materia di confronto specifico se l’informazione di merito è così friabile. Riproviamoci. La conclusione di Scalfari è verissima, in effetti: tutto questo ci riguarda. Eccome.