Opinioni

Botta&risposta. Sepoltura per i morti di ogni colore e la Storia che dà torto e ragione

Lucia Bellaspiga venerdì 28 dicembre 2018

Gentile direttore,

vorrei tornare su un articolo pubblicato domenica 21 ottobre 2018: «Una tomba per i morti di Castua». In esso si legge che tra i corpi si trova quello del «senatore Riccardo Gigante». Dato che dagli avvenimenti sono passati oltre 70 anni e la Storia è una materia – purtroppo – cenerentola nella scuola e nell’informazione italiana (e i risultati si vedono), vale la pena ricordare chi fosse il senatore in questione. Fiumano di nascita, dopo aver aderito all’avventura dannunziana, nel 1921 tentò di invalidare l’esito delle elezioni per l’Assemblea costituente dello Stato indipendente fiumano: alla testa di un gruppo di fascisti ed ex legionari, penetrò nell’aula del tribunale dove si stava effettuando lo scrutinio e bruciò le schede elettorali. Nel gennaio 1930 venne nominato primo podestà di Fiume, carica che mantenne fino al 1934, allorché (24 febbraio) fu nominato senatore del Regno per meriti patriottici. Aderì quindi alla Repubblica sociale italiana e nel settembre 1943, dopo l’occupazione di Fiume da parte dei tedeschi, fu per breve tempo prefetto della città, finché le autorità naziste non lo sostituirono con altra persona più gradita agli alleati ustascia croati (il cui duce Pavelic – armato e finanziato dai fascisti tra le due guerre e mandante dell’assassinio di re Alessandro di Jugoslavia – era un “signore” che, a quanto scrive Curzio Malaparte in “Kaputt”, teneva sulla scrivania una cesta con gli occhi che i suoi seguaci avevano cavato dalle orbite dei malcapitati serbi della regione). Per completare il quadro giova ricordare che la Jugoslavia fu invasa, occupata e smembrata dalle forze dell’Asse, che le vittime seguite a tale occupazioni (e a i vari conflitti che essa scatenò) furono circa un paio di milioni e che le truppe italiane agivano seguendo la famigerata circolare 3C dove si diceva di applicare il criterio della «testa per dente».

Matteo Cherubini, Lucca

Gentile signor Cherubini, essendo io l’autrice dell’articolo sul ritrovamento delle salme di cittadini italiani nella fossa comune in Croazia e sulla degna sepoltura data loro dopo oltre 70 anni dall’uccisione, il direttore mi ha chiesto di risponderle. Ciò che lei contesta non è quanto io scrivo, dato che i fatti di cronaca sono inoppugnabili (indiscutibilmente le salme sono state ritrovate, e proprio nel punto in cui i testimoni dell’eccidio avevano visto nascondere i cadaveri): pare di capire invece che lei contesti parte dell’operazione condotta da Italia e Croazia congiuntamente, ossia il recupero di una sola delle sette salme in quanto appartenente a un fascista. Mi verrebbe subito da chiederle se quindi il seppellire un morto o invece lasciarlo alle intemperie secondo lei dovrebbe dipendere dai suoi comportamenti in vita, nel qual caso parecchie tombe rischierebbero di restare vuote.

Ma preferisco soffermarmi sulla figura del senatore Riccardo Gigante, perché anche io come lei penso che la storia sia la cenerentola dell’informazione italiana. Su Gigante lei riporta notizie vere ma parziali, così completo il ritratto: fu importante esponente dell’irredentismo italiano a Fiume e fondatore della “Giovane Fiume” di matrice mazziniana. Sostenitore di D’Annunzio, aderì ben presto, come tanti, al fascismo e si oppose al Trattato di Rapallo, fino all’azione squadristica da lei citata. Fu poi podestà di Fiume dal 1930 al 1934 e in seguito senatore del Regno d’Italia. Se fu di peso la sua attività di storico saggista, fu invece irrilevante la sua attività politica negli anni del regime, durante i quali addirittura manifestò nettamente il suo dissenso contro le leggi razziali, essendo sua moglie ebrea.

Non solo, dopo l’invasione della Jugoslavia avvenuta durante la II Guerra mondiale, criticò apertamente la politica italiana nei confronti degli slavi («Della sciagurata politica del governo o del regime in tutti i territori annessi della Croazia e della Dalmazia ci occupammo appassionatamente», scrive in un suo articolo sul quotidiano “La Vedetta d’Italia” nel 1944, ma «alla nostra conoscenza dei luoghi e delle popolazioni non si diede peso, la nostra comprensione di irredentisti per i diritti delle minoranze fu derisa e si continuò a ferire rudemente le nuove popolazioni...»).

D’altra parte, come ammette anche lei, fu prefetto per breve tempo: infatti si dimise e fu sostituito da persona meno sgradita proprio a quell’Ante Pavelic di cui lei ricorda la ferocia. Gigante non fu mai responsabile di rappresaglie o repressioni e per questo si rifiutò di lasciare Fiume, certo di non avere conti da pagare. Ma, come ben sappiamo, non erano necessarie colpe per essere eliminati dalla polizia comunista di Tito, badi bene, a guerra finita. In tempo ormai di pace, nelle Foibe, nei campi di concentramento, nelle fosse comuni sparirono migliaia di italiani (e non solo), apolitici o fascisti o antifascisti che fossero (e i loro assassini hanno pur avuto sepoltura...). Non sapremo mai chi fu gettato con Gigante in quella fossa, se gli uni o gli altri, ma aderendo all’etica di Onorcaduti, l’ente della Difesa che si occupa di ricercare, rimpatriare e restituire alle famiglie le salme di qualsiasi italiano, nemmeno ci importa. A decenni dai regimi fascisti e comunisti importa invece tenere in vita gli anticorpi contro la barbarie, condannando senza se e senza ma epurazioni e processi sommari di qualsiasi matrice essi siano.