Se chiamiamo un bimbo «M zero». Non ci sono le parole
La lingua vive con noi, e se noi ci trasformiamo anche lei si trasforma. La guerra, il terremoto, i naufragi, le catastrofi che vediamo ogni giorno in tv (mangiano con noi, dormono con noi), sono inattese, inaccettabili, violente, trasformano le nostre giornate, trasformano noi, e trasformano la nostra lingua. La nostra lingua inventa segni e suoni che prima non aveva. Non sapevo che esistessero e che fossero possibili. Non siamo noi che creiamo la lingua, è la lingua che crea noi. La lingua ci precede. Ci esprime prima che noi siamo. Dobbiamo adeguarci, essere quel che lei dice.
Dopo questo sterminato naufragio di Crotone, vedo bare con l’indicazione di chi ci sta dentro, ma qui viene fuori la nostra difficoltà: non sappiamo chi ci sta dentro. C’imbattiamo nella più totale forma di morte: davanti a noi, sulle nostre coste, troviamo morte persone di cui ci è impossibile scoprire l’identità, non hanno nome, non hanno cognome, non hanno età, non hanno parenti. Sono morte in nave e con la nave: la nave si sfracellava e loro con essa. Morti dentro la nave, non sopra. Morti non visti. Non visibili.
Durante la traversata, ogni tanto, ma raramente, venivano fatti uscire dalla nave e fatti salire sulla tolda ma solo per respirare. Nella nostra modernità le Capitanerie hanno degli strumenti per sentire se in una nave che sta arrivando in porto ci sono delle persone che non si vedono, che non camminano all’aria aperta, ma respirano nelle viscere dell’imbarcazione. Della nave che s’è sfracellata sulle nostre coste gli strumenti dicevano “poche persone stanno dritte sulla tolda, un centinaio respirano dentro”.
Quel centinaio di persone muoiono da inesistenti, non visibili, neanche col binocolo. Recuperando le salme, non si riesce a scoprire il loro nome, ma solo a vedere se sono maschi o femmine, e a ipotizzare quanti anni avevano. Verranno sepolti così, maschi o femmine, di 8 o 22 anni. Cioè, sull’epigrafe, M o F, 8 o 22. E fin qui capisco. Ma cosa vuol dire M 0? È un maschio di zero anni? Qualcuno che è morto prima di nascere? Qualcuno che non ha ancora vissuto un intero anno? Chi l’ha imbarcato voleva che vivesse tutta la vita in un altro mondo, lontano dal suo mondo di persecuzione sofferenza, di fame, di guerra, La sua vita è uno spezzoncino che non arriva nemmeno a 1, resta bloccato sullo 0. Esprimere una catastrofe vuol dire renderla sopportabile, conviverci. Ma le catastrofi come questa non sono esprimibili. Non possiamo accettarle in pace. Vedo un bambino che ha perso la sorella e non riesce a dirlo col telefonino a papà e mamma, non trova le parole. Lo capisco. Quelle parole non esistono.