Sull'impegno politico dei cattolici italiani. Senza il «salto» si rischia irrilevanza
Una veduta dell'aula del Senato (Fotogramma)
Con un lucido, e un poco provocatorio articolo di Luca Diotallevi 'Avvenire' il 6 gennaio 2017 è tornato ad affrontare il problema della «rilevanza» dei cattolici in ambito politico. Diotallevi ha svolto alcune riflessioni che meritano una doverosa attenzione.
La questione in gioco non è, evidentemente, il computo complessivo di quanti, da cattolici, occupano determinanti posti nel governo nazionale, nelle amministrazioni locali, nelle più importanti istituzioni politiche, economiche e culturali. Una simile operazione, d’altronde, echeggerebbe la pirandelliana figura dell’Uno, nessuno, centomila… Come definire, infatti quali sono i 'cattolici': i battezzati, gli osservanti, i frequentatori delle parrocchie o magari coloro che, pur proclamandosi atei, prendono il Vangelo più seriamente di cosiddetti 'fedeli'?
Più che cercare di 'contare' quanti e quali siano i posti di rilievo occupati da cattolici, pensiamo che la vera domanda alla quale rispondere sia un’altra: quale ruolo, complessivamente, ha il cattolicesimo nell’attuale società italiana? E quale metro, conseguentemente, è bene adottare per valutare quale sia il posto che il fattore religioso (nella sua specifica declinazione cattolica) occupa nella nostra società? È sostanzialmente la domanda che Diotallevi, nel citato articolo, si pone quando afferma che «ciò che oggi manca non è certo la visibilità politica dei cattolici ma la rilevanza del cattolicesimo per la politica: concetto che potrebbe essere espresso con altre parole o, se si vuole, attraverso un interrogativo, quale potrebbe essere il seguente: al di là delle cariche occupate e dei ruoli rivestiti da cattolici, il cattolicesimo esercita ancora un’influenza sulla società italiana?».
Rispondere a questo interrogativo implica necessariamente abbandonare il terreno, infido, della 'visibilità' e arrendersi nel più complesso e difficile tema della profondità: del resto, non sempre ciò che è 'visibile' è anche 'profondo', e cioè radicato nel terreno e non soltanto presente in superficie. Se si pensa alla 'visibilità' alla'profondità' – e soprattutto se si aprono gli orizzonti a confronto con le altre terre e con altre culture – ritengo sia difficile negare che l’Italia è segnata in profondità, ancora oggi, dal cattolicesimo, avendone recepito nella sostanza – anche se non sempre nella continuità e con coerenza – un insieme di valori generalmente non percepiti per le loro origini evangeliche, ma presenti e operanti proprio grazie al cristianesimo; forse un 'cristianesimo anonimo' ma non per questo meno reale e ben visibile allorché si parla dei diritti umani, del rispetto della persona, del dovere della 'prossimità' e così via. Non sempre questi valori sono presenti nella sfera della politica, ma lo sono ancora e sempre nel tessuto della società italiana.
Il problema che sta di fronte ai cattolici italiani di oggi è indubbiamente, da una parte, consolidare radici esposte al logoramento indotto dal consumismo e dall’individualismo, ma dall’altra impegnarsi a tradurre questi valori attraverso il privilegiato strumento della politica. Seguire questa seconda strada, tuttavia, esige allo stesso tempo passione civile e competenza, amore per il prossimo e senso di responsabilità, ancoramento agli ideali e consapevolezza del limiti della politica. Tutto ciò implica il transito della sfera della società all’ambito della politica: portando in essa quell’insieme di valori che nel delicato passaggio dall’«ideale» al «reale» rischiano di dissolversi. È, questo, il non facile salto dall’ambito della società civile a quello dell’impegno politico: un passaggio che soprattutto le giovani generazioni tendono, invece, a rifiutare. E su questo bisogna concentrarsi.