Opinioni

Le scelte del Papa per le sedi episcopali spagnole. Sempre per servizio (non per carriera)

Mimmo Muolo venerdì 29 agosto 2014
«Pastori con l’odore delle pecore». La frase che il Papa ripete spesso ai sacerdoti per raccomandare loro di essere vicini alle persone – e che vale vieppiù per i vescovi – è anche la stella polare di cui avvalersi per interpretare la duplice scelta operata ieri da Francesco all’interno dell’episcopato spagnolo. Un cardinale attualmente alla guida di un dicastero di Curia, nominato arcivescovo di Valencia – Antonio Cañizares Llovera, finora prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti –; e l’attuale arcivescovo valenciano, Carlos Osoro Sierra – che pratica nella sua diocesi quello stile di 'Chiesa in uscita' tanto caro a Bergoglio –, trasferito a Madrid. Sarebbe facile, infatti, seguendo la vecchia (e spesso davvero miope) scuola di pensiero che ha sempre guardato a questo tipo di decisioni papali in termini di 'carriera', emettere giudizi sommari sulla base dell’assioma secondo cui un incarico al vertice di un dicastero di Curia costituisce per un ecclesiastico una sorta di 'dorato' capolinea che non prevede il ritorno al servizio in diocesi, evidentemente considerato di rango inferiore. Sarebbe facile, se il magistero e l’esempio di Francesco non dimostrassero l’esatto contrario. Il Papa, infatti, sta attuando anche da questo punto di vista un cambiamento di stile in continuità di fondo con quanto operato da Benedetto XVI (ricordiamo a tal proposito il precedente del cardinale Crescenzio Sepe, già prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e dal 2006 arcivescovo di Napoli). Le scelte di ieri dicono infatti che per il Pontefice non esistono cattedre di serie A o di serie B, ma un unico irrinunciabile servizio a Dio e al suo popolo che si può esprimere in forme, latitudini e incarichi diversi, ma che deve comunque conservare la sua caratteristica di servizio (e non di potere) e che ha alla sua radice la santità di vita. Emblematico sotto questo profilo è il passaggio dell’omelia dello scorso 23 febbraio, quando ai nuovi cardinali del suo primo Concistoro il Pontefice ricordò: «Il cardinale – lo dico specialmente a voi – entra nella Chiesa di Roma, fratelli, non entra in una corte. Evitiamo tutti e aiutiamoci a vicenda a evitare abitudini e comportamenti di corte: intrighi, chiacchiere, cordate, favoritismi, preferenze. Il nostro linguaggio sia quello del Vangelo: 'sì, sì; no, no'; i nostri atteggiamenti quelli delle Beatitudini, e la nostra via quella della santità». Un brano che si potrebbe leggere in parallelo con i tanti discorsi fin qui rivolti ai confratelli vescovi, da quello programmatico del luglio 2013 all’episcopato brasiliano, all’intervento paradigmatico del maggio di quest’anno all’assemblea della Cei, dove l’accento posto sulla santità di vita del vescovo era accompagnato dalla messa in guardia contro tutta una serie di «tentazioni» che possono distoglierlo dal progredire su questa via. Prima tra tutte «l’ambizione che genera correnti, consorterie, settarismo». «Quant’è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso», aveva quindi aggiunto il Papa. Mettendo in sostanza una pietra tombale sul 'carrierismo' e sulla mentalità di chi continua a guardare tutto secondo tale ottica. Un’ulteriore prova viene poi dal discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2013, in cui il Papa ricorda che le principali doti di chi lavora nella struttura che assiste il Pastore della Chiesa universale devono essere «la professionalità e il servizio». Salvo poi proseguire subito dopo: «A queste due qualità vorrei aggiungerne una terza, che è la santità della vita. Sappiamo bene che questa è la più importante nella gerarchia dei valori. In effetti, è alla base anche della qualità del lavoro, del servizio». Le decisioni di ieri danno a queste affermazioni magisteriali la concretezza dell’applicazione sul campo, che si inquadra – tra l’altro – nell’ampio scenario della riforma della Curia romana, attualmente allo studio da parte del Consiglio dei cardinali appositamente nominato dal Papa. E allora nessuno deve stupirsi se un cardinale di Curia viene inviato alla guida di una diocesi, allo stesso modo in cui nessuno si sorprende quando avviene il contrario. Il cardinale Cañizares, ad esempio, questa strada l’ha percorsa nei due sensi (prima di essere chiamato a Roma era stato alla guida delle diocesi di Avila, Granada e Toledo). Anzi, fonti vicine allo stesso porporato spagnolo fanno notare che era stato lui stesso a chiedere al Papa di tornare in diocesi, nella convinzione – pienamente condivisa con Francesco – che pur con differenti modalità l’importante è essere «pastori con l’odore delle pecore». Perché ovunque si venga chiamati a svolgerlo, c’è un unico irrinunciabile servizio a Dio e al suo popolo.