Segni di universalità. La spinta del Papa alla Chiesa e al dialogo con i giovani
Grazie a Francesco, il Papa «preso quasi dalla fine del mondo», la Chiesa universale sta via via mostrandosi al mondo per quella che è: una realtà plurale dove le differenze sono ricchezza, un corpo vivo nel quale trovano espressione le diverse culture. Il forte rinnovamento impresso dal pontefice argentino al collegio cardinalizio, la cui attuale composizione riflette in maniera inequivocabile il processo di globalizzazione in atto nella Chiesa, ne è probabilmente il segno più evidente.
Ma anche il recente Sinodo dei giovani, con quel che ne è seguito - la redazione del Documento finale e poi dell’Esortazione Christus vivit – conferma quanto detto poc’anzi. Leggiamo al paragrafo 68 della, intitolato "Molte gioventù": «La composizione stessa del Sinodo ha reso visibile la presenza e l’apporto delle diverse regioni del mondo, evidenziando la bellezza di essere Chiesa universale. Pur in un contesto di globalizzazione crescente, i Padri sinodali hanno chiesto di mettere in evidenza le molte differenze tra contesti e culture».
Suor Alessandra Smerilli, che ha partecipato al Sinodo, commentando il testo dell’Esortazione ha scritto che i giovani presenti «hanno dato un contributo decisivo ai lavori sinodali; la loro presenza è stata fondamentale». Precisamente perché, grazie a loro e al confronto con pastori provenienti da ogni continente, la Chiesa ha potuto guardare alla realtà con uno sguardo ampio, inclusivo e aperto agli orizzonti del mondo intero. Ecco perché (nei paragrafi da 72 a 80, sotto il titolo "Giovani in un mondo in crisi") la Christus vivit, che raccoglie e ripropone i frutti del lavoro sinodale, si sofferma su fenomeni sociali e problematiche che riguardano sia i Paesi ricchi sia tanti contesti del Sud del mondo. In questo modo l’Esortazione, che certamente ha come primi interlocutori i giovani credenti e la Chiesa tutta, può tuttavia essere compresa e apprezzata dai giovani di tutto il pianeta. Anche perché, come sottolinea il Papa stesso: «Migliaia di voci di credenti di tutto il mondo hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande».
Ancora: a conferma del respiro "globale" del testo, va sottolineato che la Christus vivit in più punti dà voce – come già accaduto in precedenza con la Evangelii gaudium – a prese di posizione e documenti di vari episcopati nazionali. Troviamo, così, citate le parole dei vescovi di Svizzera, Ruanda, Corea, Argentina, Colombia, Stati Uniti, a indicare – appunto – un volto di Chiesa plurale e che si esprime in modo sinfonico.
Per chiudere. Il Papa che ha scelto il nome del santo di Assisi insiste con particolare forza, in diversi passaggi della Christus vivit nell’additare san Francesco ai giovani d’oggi. Ma l’Esortazione propone anche altre figure di santità giovanile, provenienti letteralmente da tutto il mondo. Si va dalla prima nativa americana (santa Kateri Tekakwitha, vissuta nel XVII secolo), ad alcuni italiani noti: san Domenico Savio, Piergiorgio Frassati, il "giovane delle otto beatitudini", Chiara Luce Badano, anch’ella beata, e Carlo Acutis, quindicenne milanese la cui devozione si sta allargando a macchia d’olio. Ma l’elenco proposto dal Papa comprende anche varie altri personaggi, non meno significativi anche se poco noti (ad eccezione di Giovanna d’Arco e santa Teresa di Gesù Bambino): il francese Marcel Callo, scout e membro della Gioventù operaia cristiana, ucciso nel 1945 a Mauthausen, il beato congolese Isidoro Bakanja, martirizzato all’inizio del ’900 per la sua coraggiosa testimonianza di fede, Andrew Phû Yên, catechista vietnamita del XVII secolo, anch’egli beatificato per aver preferito la morte all’abiura. E, infine, Ceferino Namuncurá, salesiano laico argentino, primo beato indio dell’America del Sud.
Ce n’è abbastanza, ci pare, per dire che davvero papa Francesco sta operando in direzione di una Chiesa sempre più "cattolica": una Chiesa che non omologa le differenze, secondo il modello della sfera, ma che, come nei poliedri, presenta armonicamente le sue varie facce. Ne viene, soprattutto per noi cattolici d’Occidente, l’appello a una nuova responsabilità e a un salutare cambio di paradigmi e di orizzonti.