A voi la parola. Se una sera su una strada poco illuminata una paletta...
Caro direttore,
le scrivo nel tentativo di dare sfogo alla mia amarezza per quanto mi è successo venerdì sera, 22 febbraio, verso le 21... Sono un assiduo lettore di “Avvenire”, al quale sono abbonato da circa 30 anni. Venerdì sera, dunque, esco in auto per andare a trovare un amico. Lungo il percorso, in una zona non ben illuminata, mi si para davanti una paletta della Stradale (non riflettente), che mi intima di accostare a destra. L’agente che la usa si trova nello spazio di corsia, ma si nota solo la paletta. Mi fermo, abbasso il finestrino, un breve incrocio di sguardi, e poi di rimando un «Vada, vada!». Sono sorpreso da tanta magnanimità, ma mi esce spontanea una battuta: «Forse, indossare il giubbotto ad alta visibilità non stonerebbe, perché prima io ho visto solo la paletta e non lei...». Ed è subito bagarre. «Ma lei vuole insegnare a me il mio lavoro?! ». E io, candidamente, di rimando: «Veda un po’ lei... ». «Allora, se la mette così, accosti subito, e mi dia: patente, libretto, tagliando assicurazione!». Direttore, mi creda: stavo per mettermi a ridere. Ma sono stato al gioco. Consegno i documenti richiesti, non ho nulla da nascondere. Gli accertamenti sono accuratissimi. Comincia anche un conciliabolo con gli agenti di una seconda pattuglia presente sul posto. Siamo alla prova con l’etilometro, per verificare il mio stato di sobrietà. Mi dicono di soffiare brevemente e con intensità. Ci provo, ma non sono bravo con quell’aggeggio. Per ben quattro volte provo. Per l’agente e i suoi colleghi non starei collaborando. Resto tranquillo e collaborativo, anche perché ho la sensazione che mi si voglia forzare a un qualche atteggiamento da imputarmi poi come “resistenza”. Non mi scompongo e faccio presente che forse il problema è la mia asma... Nuovo conciliabolo. E arriva la decisione di ridarmi i documenti, senza una parola. Saluto e riparto. Vengo alla mia considerazione, e anche al mio disappunto. Questo abuso di potere, ben chiaro e riprovevole, mi ha lasciato basito. Non si può sfidare la sorte in modo così spudorato, senza giubbotto riflettente, pretendendo di aver ragione a tutti i costi. Per anni anch’io ho lavorato sulla strada, e non avrei potuto farlo se non avessi indossato giubbino e calzoni ad alta visibilità. Che dice, direttore, sono io fuori dalla realtà o qualcun altro? Non mi dilungo oltre, grato della sua cortese attenzione. E le auguro buon lavoro.
Che posso dirle, gentile e caro amico? Che lei ha avuto un bel coraggio e anche fortuna. Coraggio perché nessuno accetta volentieri che gli si ricordino le regole, e ancor più difficilmente lo accetta chi delle regole è guardiano. Fortuna, perché aveva documenti e auto in perfetto ordine. Lei mi dirà che la fortuna non esiste, e che esiste solo la coscienziosità. Naturalmente ha ragione, ma – mi creda – un po’ di fortuna l’ha avuta lo stesso. Nessuno è infallibile e nessuno è al di sopra di ogni tentazione. In Italia abbiamo tanti uomini delle forze dell’ordine come si deve, magari a volte un po’ imprudenti e abbastanza suscettibili, ma assolutamente per bene e comunque a loro volta coscienziosi. A lei è toccato di incontrarne. Le hanno fatto perdere un po’ di tempo, ma infine sono stati giusti. E magari si ricorderanno della piccola lezione di sicurezza avuta una sera di febbraio da un tranquillo signore che non era riuscito a rinunciare a una battuta, ma non parlava affatto a vanvera.