Abruzzo. Se una scuola antisismica vale più del campanilismo
Una scuola moderna e sicura val più di un campanile. Nell’Abruzzo interno, che sul piano della viabilità e della logistica è rimasto quello dei castelli e delle contrade, sta crescendo una generazione di sindaci capaci di far digerire ai propri concittadini delle decisioni che in altri tempi avrebbero infiammato la piazza. Come quella di chiudere le scuole di montagna. Scelta che divide. Anzi, diciamo pure sbagliata per il direttore della Caritas di Trivento, don Alberto Conti – «darà il colpo di grazia, accelerando lo spopolamento» dice – ma nella quale i sindaci credono e che la gente sta accettando di buon grado. A malincuore, certo, ma la accetta. «Dotto’, qui siamo abituati a viaggiare: ogni mattina si scende a valle e si va a lavorare a Vasto e a San Salvo. Vorrà dire che anche i ragazzi scenderanno giù, a Celenza, per studiare» commenta la giornalaia di Torrebruna. Dal suo negozietto, sulla via dritta che porta alla chiesa del Santissimo Salvatore, passa l’intero paese, perché qui si vende letteralmente di tutto, dal pecorino ai detersivi (ma il pane bisogna prenotarlo 'per esigenze organizzative e di lavoro' avverte un cartello); eppoi la sua opinione è la stessa di Francesco, che gestisce il ristorante di fronte, tempio degli arrosticini.
Rinunciare a un presidio scolastico, quando si vive appollaiati sul tetto d’Italia, non è cosa da poco, tuttavia la cronaca ci offre un punto fermo: se da queste parti, fino a quindici anni fa, si era usi iscrivere anche i morti pur di tener aperta la scuola del paese, all’inizio dell’estate otto Comuni del Basso Sangro-Trigno hanno sottoscritto un accordo formale per chiudere quattro complessi scolastici e trasferire tutti gli alunni, circa 300, nel nuovo plesso unico del Medio Vastese, che sorgerà nel fondovalle, a Celenza. Cinque amministrazioni, e cioè Torrebruna, Carunchio, Castelguidone, Celenza sul Trigno e San Giovanni Lipioni, fanno parte di un’area pilota della Strategia Nazionale Aree Interne, che prevede un tutoraggio e finanziamenti ad hoc; altri tre – Dogliola, Palmoli e Tufillo – hanno potuto aggregarsi al progetto grazie a fondi del Miur e della Regione Abruzzo.
«È vero, in altri tempi si sarebbero erette le barricate per non rinunciare alla propria scuola, ma i punti di vista cambiano – ammette Cristina Lella, primo cittadino dem di Torrebruna –. San Giuliano di Puglia non è lontana, i genitori hanno paura e non ci sono i soldi per garantire la sicurezza delle vecchie strutture». Il riferimento è alla tragedia del 2002, quando un terremoto provocò il crollo di una scuola in Molise, uccidendo 27 bambini e la maestra. Il tema della sicurezza, dunque, è stato decisivo nel catalizzare il consenso verso questo progetto, tuttavia il plesso del Medio Vastese è anche la risposta a un deficit impietosamente fotografato dai dati Invalsi, secondo i quali in queste scuole di montagna, costrette ad adottare le pluriclassi e con dotazioni sempre più scarse, si impara decisamente meno che altrove. La Strategia Aree Interne, coordinata dall’Agenzia per la Coesione (con una dotazione di spesa di 190 milioni di euro, che per l’effetto 'leva' arriva a 600 con i fondi Ue), punta anche a ridurre la frammentazione e a migliorare la qualità dell’offerta scolastica, attraverso la razionalizzazione delle dotazioni e sperimentando nuove architetture e strumenti didattici. Precisamente ciò che si farà a Celenza.
La scuola è una delle voci più importanti del pacchetto di sviluppo pensato dal governo per le popolazioni che vivono lontano dai servizi essenziali. Nel Basso Sangro-Trigno, il tema riguarda 22mila abitanti e 46 plessi scolastici, nei quali il 78% delle classi presenta meno di 15 alunni: «Le statistiche e i finanziamenti ci dicono chiaramente che, se vogliamo dare opportunità di sviluppo alle nostre genti, dobbiamo metterci insieme» osserva Gianfranco D’Isabella, sindaco di centrodestra a Carunchio. Interpreta uno stile politico tutt’altro che scontato. Fino a qualche anno fa, da Chieti a Vasto, un sindaco non avrebbe potuto neanche rifare un marciapiede senza passare da Gissi (feudo di Remo Gaspari), mentre oggi la capacità di presentare un progetto ben fatto, in grado di aggiudicarsi un bando, e lavorare insieme alle amministrazioni del circondario conta più dei legami tribali della politica. La piccola Carunchio ha appena ottenuto un milione di euro per ristrutturare il centro storico e il nuovo plesso scolastico è pensato per coinvolgere nell’impresa il numero più alto di Comuni. «Siamo di fronte a un modo nuovo di amministrare, più attento ai bilanci e ai bisogni, meno succube delle spartizioni e più incline a fare rete» spiega D’Isabella. Lella ci conferma: «Lavoriamo per coinvolgere nell’istituto comprensivo anche i Comuni molisani che si trovano dall’altra parte del Trigno».
Il nuovo polo scolastico, che coprirà il bisogno formativo dai 6 ai 13 anni e permetterà di offrire il tempo pieno, genera grandi aspettative in questo territorio. Anche quella di cambiare la mentalità di una popolazione che negli anni Ottanta, con l’industrializzazione della valle del Sangro, ha gettato alle ortiche le proprie radici rurali per inseguire il sogno del posto fisso: «Vorremmo che la scuola facesse capire ai ragazzi – spiega il sindaco di Torrebruna – che invece il lavoro bisogna crearselo. Per questo, abbiamo voluto che nell’istituto, oltre all’auditorium e alla piscina, vi fosse un frutteto, perché il futuro di questa terra è nella trasformazione delle produzioni agricole». Torrebruna organizza la sagra del tartufo da ventidue anni, ma manca una filiera che aiuti a passare dall’evento a un’economia strutturata per produrre reddito e occupazione. Carunchio ci sta provando con la ventricina. ueste aspettative, per adesso, si scontrano con la realtà descritta dai numeri.
La diocesi di Trivento, che comprende 40 comuni di montagna a cavallo tra Abruzzo e Molise distribuiti su oltre mille chilometri quadrati, ha pubblicato nei giorni scorsi un rapporto secondo il quale in mezzo secolo si sono persi più di 74mila abitanti; oggi, solo 37mila persone resistono in questi paesi da presepe, costruiti sulla cresta degli Appennini per tenere a bada i briganti e dove gli inverni sono ancora lunghi e rigidi, le strade ammalorate, le attività ridotte al lumicino e i palazzi della politica lontanissimi. Nel territorio servito dal plesso del Medio Vastese si nasce sempre di meno, oltre un terzo della popolazione è anziana e in dieci anni Torrebruna ha perso 245 abitanti (oggi sono 819), Schiavi d’Abruzzo 333 (817) e Celenza sul Trigno 128 (900)… «Concentrare i ragazzi in un’unica scuola non è una risposta. La fuga continuerà» sentenzia allora don Alberto, che chiede di continuare a finanziare le scuole di montagna. I sindaci ribattono che non ci sono soldi: «Torrebruna riceve trasferimenti erariali per 250mila euro all’anno e il solo riscaldamento delle classi ne costa 15mila – ricorda Lella –, ma non è solo un problema finanziario, dal momento che nei nostri comuni i docenti non vogliono venirci, oppure, appena arrivati, chiedono il trasferimento. Una classe ha cambiato tre insegnanti di matematica in un anno». La nuova scuola in fondo alla valle diventa così la promessa di un riscatto. La Regione Abruzzo ha già inserito l’istituto comprensivo di Celenza nella programmazione triennale e si attendono i lavori, il cui valore si aggira intorno ai sei milioni di euro. Solo per Valter Valentino non cambierà nulla.
L’autista dello scuolabus che ogni mattina parte da Guardiabruna, fa tappa a Torrebruna per poi svoltare verso Celenza, continuerà a portare i ragazzi su e giù da questi tornanti, con il solleone e con la neve, proprio come facevano papà Nevio e nonno Emidio, che lavorando sul mezzo pubblico si prese la broncopolmonite e se ne andò. Per Valter, il problema non è dove stia la scuola, bensì «lo stato penoso delle nostre strade, piene di buche e di frane». La Caritas di Trivento aveva denunciato questa situazione nel 2013, ottenendo un fugace interessamento dei governatori di Abruzzo e Molise. Da allora, più nulla.