Se tre donne uccise vengono chiamate col nome della violenza subita
Gentile direttore,
la triste, tristissima vicenda del triplice femminicidio a Roma non trova giustizia neanche nelle parole usate. In tutti i telegiornali si definiscono queste tre povere donne uccise semplicemente con la parola “prostituta”. Non le si chiama mai nemmeno per nome! “Le tre prostitute” uccise sono tre donne. La notizia urlata in modo strampalato ha fatto il resto. Le parole sono importanti e le persone hanno il diritto sacrosanto della dignità inviolabile, anche nella morte.
Sono d’accordo con lei, gentile dottor Soliani. Per questo su “Avvenire” abbiamo titolato in modo diverso, parlando di ciò che erano: “donne”. E nei nostri testi non le abbiamo chiamate “prostitute” ma “prostituite” (in un bel corsivo siglato da Antonella Mariani), la condizione a cui erano costrette dai loro sfruttatori e dall’ipocrisia di una società che domani, 25 novembre, celebrerà la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ma quella violenza l’accetta e quasi la giustifica quando si tratta del “mestiere più antico del mondo”. No, è la violenza più antica del mondo. E si rinnova e si aggrava anche ogni volta che ci sono donne vendute e comprate che vengono “incatenate” alle parole che le umiliano. Sulle nostre pagine ci siamo guardati bene, a differenza di quanto purtroppo è invece avvenuto su altri giornali, di dare voce a persone che avevano comprato il corpo e il tempo di alcune di quelle donne, il cui assassinio era cominciato con la schiavizzazione sessuale e con le ferite inferte alla loro dignità e alla loro anima. Di tutto questo, come lei, da uomo, non riesco a darmi pace.