Dal grembo dell’unità della Marina Militare, approdata quasi sul far del vespro nel porto di Crotone, la prima a sbarcare, tra tutti i 1.367 migranti, 192 donne,156 bambini, soccorsi e salvati dall’operazione Mare Nostrum, è stata lei, Princess, la piccola principessa di questo popolo degli abissi, ordinatamente stivato nelle grigie ed alte fiancate della nave d’assalto anfibio San Giusto, sui cui ponti svettano orgogliosi le ali sospese di due possenti ed eleganti elicotteri da guerra. Quasi un segno d’onore e di rispetto verso la più dolce e incantata bimba etiope, una principessina sfortunata, di padre e madre cristiani coopti, avvolta in un lembo bianchissimo, candido bagliore di una vita senza inizio, racchiusa in un’urna nera che sembra il triste forziere di pianto e dolore, scrigno simbolico di speranza e tenacia spirituale di questo infinito esodo a frammenti che raggiunge l’Italia lungo le travagliate e perigliose rotte del Mediterraneo. Sulla banchina tra militari e forze di polizia, giunti in forza a soccorrere gli sbarcati, dopo aver atteso che la salma della bimba scendesse a terra, ecco avanzare tra gli operatori, uno dei protagonisti silenziosi di questi anni affollati di disperati, dispersi, naufraghi, profughi e clandestini in cerca di un proprio destino di libertà e progresso. Don Edoardo Scordio, il parroco di Isola Capo Rizzuto, la roccia attorno alla quale si stringono uniti e solidali i giovani della Misericordia che gestisce il Campo di prima accoglienza della vicina S. Anna, dopo aver seguito il piccolo corteo funebre, ha impartito la prima e l’ultima benedizione alla creatura mai nata, esclamando le parole del rito, bagnandone il feretro con le poche gocce d’acqua benedetta del suo aspersorio. Ma di parole Don Edorado né ha tante su quanto sta accadendo, convulsamente e precipitosamente, in questi ultimi mesi, di disordinato arrembaggio sulla linea di demarcazione tra l’Europa mediterranea, l’Africa, il Medio Oriente. E li raccoglie in un breve ragionamento che ha il senso dell’urgenza ma anche del disincanto. Per lui questa seconda generazione di migranti, l’esito poderoso della sconfitta delle primavere arabe, sta rischiando di trasformarsi in un’armata Brancaleone, pronta a invadere e dilagare ovunque nelle città italiane, ridotte a slum, il ghetto nero della più ricca Europa del Nord. Questi non sono più i disperati della prima ondata ma giovani quasi sempre ben nutriti, robusti e ben vestiti, con la sola eccezione degli eritrei che sono la polaroid del
lumpenproletariat di questo esercito di “pacifici” invasori. Non si tratta del venir meno della solidarietà ma del pericolo risalente e concreto che tra la popolazione accogliente si spezzi il legame di comprensione ed empatia che fin chi ha tenuto aperte le porte italiane agli stranieri. Don Scordio racconta, sotto voce e sotto traccia, di aver recentemente convertito alla fede tre musulmani, a rischio che questi venissero scoperti e puniti per la loro scelta e determinazione. Quel che più di ogni altra cosa sembra essere, adesso, sfibrante è la totale assenza di accettazione del principio di reciprocità anche in tema di usi, costumi, scelte quotidiane, da parte di gruppi etnici già predisposti e dislocati in una propria gerarchia di valori e di comando. Per questo tocca ai cristiani difendere, anche in patria, fede e cultura, perché il dialogo va bene, sì, ma guai ad essere accondiscendenti. In secondo luogo occorre subito organizzare un progetto che parta dalla società intera ma coinvolga le istituzioni anche quando come oggi in questo sbarco sono assenti, specificamente la Regione Calabria. Poi un appello anche al presidente del Consiglio Matteo Renzi, affinché trasformi subito le sue tesi programmatiche sul terzo settore in un grande progetto concreto che leghi l’emergenza immigrazione allo sviluppo territoriale e alla ripresa economica del nostro Paese.