Il ricordo di un universitario. Se lo studente abita davvero lontano dalla sua scuola
La foto che era ieri su questo giornale delle tende piantate davanti alla Sapienza di Roma, nei lettori di una certa età, come me, risveglia un trauma: perché ricorda gli studi universitari degli studenti che abitano lontano dall’università. Erano, e sono, un’ingiustizia sociale, una ferita alla meritocrazia. Ho vissuto quell’esperienza, ho patito quell’ingiustizia, e vorrei rievocarla.
Abitavo nell’aperta campagna, ero il primo non solo del mio paese ma di tanti paesi intorno a studiare all’università. Il paese era fiero di me. Il prete era fiero. Il medico condotto. Io ero “il riscatto”. Ma quanto costava il riscatto?
Studiare all’università abitando lontano era faticoso due volte, tre volte di più. Anzitutto, bisognava andare a sentire le lezioni. Una lezione durava tre quarti d’ora. Per sentire tre quarti d’ora di lezione tu studente di campagna dovevi perdere mezza giornata. La lezione del professore cominciava alle 10, io dovevo alzarmi alle 7, prendere il treno delle 8, arrivare in città alle 9, entrare in aula, e occupare un posto, alle 10. I posti eran già quasi tutti occupati dagli studenti di città, che abitavano a poca distanza e s’eran svegliati da pochi minuti. La cosa aveva un’importanza enorme nel giorno dell’esame. Perché bisognava mettersi in lista, sul foglio appeso alla porta dell’aula, e quando arrivavo io a mettermi in lista la lista era già lunghissima, c’eran venti-venticinque nomi già segnati, tutti cittadini figli di papà che s’erano alzati sì e no mezz’ora prima, s’eran sciacquati la faccia con l’acqua fresca ed eran belli svegli, mentre io avevo ciondolato per treni e stazioni per un paio d’ore, e mettendomi in lista per ultimo alle 10 del mattino avrei fatto l’esame alle 18 del pomeriggio, quando il cervello s’era svuotato sulle gambe molli e gli occhi annebbiati mi toglievano l’equilibrio. Io ero un figlio della campagna, intorno a me eran tutti rampolli della città. Era una lotta di classe, non però ricchi contro poveri o borghesi contro proletari, ma città contro campagna: la città che aveva l’università schiacciava la campagna che aveva le scuole elementari e qualche volta – ma non sempre – le medie.
A spiegare la lotta di classe come lotta della città contro la campagna era Mao. Perciò ero maoista. Ma Mao non ha mai avuto possibilità di vittoria, la discussione era tra Pci e Dc. A me sembrava giusto che i voti ottenuti dagli studenti che venivano da zone disagiate fossero aumentati di un quoziente fissato dal Ministero: tu vieni dalla profonda campagna? All’esame ti danno 27? Bene, 3 punti vengono aggiunti per compensarti del disagio, così prendi 30. Questo non è mai successo. Succederà mai?
Ci sono queste tende piantate davanti alla Sapienza. Chi dorme lì, nel sacco a pelo, sarà valutato come chi dorme nei condomìni intorno, su soffici materassi? Chi, sotto la tenda, non riesce a chiudere occhio viene valutato col metro di giudizio usato verso chi dorme e sogna? Se la risposta è sì, non è giusto.