Arruolata con gli ucraini. Se lei dice: sono un soldato (la guerra è morte ed è pazzia)
«Hai ucciso?» «Sono un soldato»: è il dialogo, riportato da un quotidiano, tra una donna-soldato italiana, che ha combattuto nella brigata internazionale dell’Ucraina, e i giornalisti che l’intervistano, durante un suo breve ritorno a casa. Pochi giorni fa. Credo che sia ancora a casa, qui in Veneto, vicino a me.
Ho riletto più volte quel botta e risposta: « Hai ucciso?», «Sono un soldato», e mi chiedo: «Cosa vuol dire? Ha ucciso o no?». Mi vengono in mente molte cose. Ci sono stati molti ragazzi russi che nei mesi scorsi, in età di arruolamento, scappavano di notte dalle loro case, passavano i confini incustoditi, e andavano all’estero, perché? Per non fare il servizio militare? No, per non uccidere. Sanno che, appena arrivati al fronte, gli mettono in mano un’arma e gli dicono: «Spara!». Non occorre addestramento, sparare è facile, e mirare pure. Adesso poi, con i fucili russi o americani, mirare e sparare è più facile di una volta, quando noi italiani usavamo fucili italiani.
I fucili italiani avevano un sistema di mira che ti mostrava il bersaglio dentro una V maiuscola, in quella V vedevi il bersaglio tutto intero, e non capivi dove lo colpivi. Poi son venuti gli americani, ci han dato i loro fucili, e abbiamo scoperto che loro avevano un sistema di mira più raffinato: il bersaglio lo vedi dentro un cerchio che racchiude una croce, e sai che il colpo va a finire esattamente dove s’incrociano i due bracci della croce, e dunque puoi scegliere in quale punto colpirlo, la pancia o la testa o il cuore. Se uccidi qualcuno, devi volerlo uccidere. E i ragazzi appena arruolati, o poco prima di esserlo, scappano e si nascondono.
Per anni ho fatto le vacanze in Istria, è vicina a casa mia, ha un mare pulito, e costa poco. A un certo punto l’Istria s’è trovata dentro una guerra civile, una parte della Jugoslavia faceva guerra all’altra parte, e d’improvviso i ragazzi che lavoravano in albergo sono spariti, dov’erano finiti? Stavan nascosti nelle barche, ancorate nel porto. Dormivano lì. Non volevano spararsi addosso, gli uni contro gli altri. Ho avuto per le mani il diario di una signora italiana che, al tempo del fascismo e della Resistenza, portava i suoi due figli a passeggiare alla sera, una passeggiatina insulsa, davanti a una muretta di assi, i bambini non si divertivano per niente, ma più tardi han saputo che dietro quelle assi bucherellate stava nascosto il padre, che attraverso i buchi spiava i figli, per seguire la loro crescita. Era un non-soldato. Per non uccidere, non faceva il soldato. Se sei un soldato, e vai in guerra, le tue possibilità di non uccidere calano.
La soldatessa che alla domanda «hai ucciso?» risponde «sono un soldato», vuol dire questo. Il rifiuto di uccidere deve cominciare col rifiuto della guerra. Se uccidere è una pazzia, la guerra è un contenitore di pazzie.