Opinioni

Musica. Se le vecchie rockstar sfidano fake news e potenza di Spotify

Massimo Iondini domenica 30 gennaio 2022

Due giubbe rosse canadesi a cavallo di un vecchio e imperituro ideale: la loro musica. Il primo è stato Neil Young, cinque giorni fa, a disarcionare le sue canzoni da Spotify. Ieri è stato seguito da Joni Mitchell, connazionale e sodale di una vita tra folk e rock. Ciò che hanno scritto e cantato dalla fine degli anni Sessanta a oggi non vogliono più che sia fruibile sulla piattaforma digitale che permette a centinaia di milioni di abbonati in tutto il mondo di accedere in streaming a un’infinità di brani musicali e che nel contempo pubblica i podcast di Joe Rogan. Chi è Joe Rogan? Un commentatore televisivo e comico statunitense, titolare di uno degli show radiofonici più ascoltati d’America, “The Joe Rogan Experience”, trasmesso in esclusiva per Spotify con un’audience di undici milioni di persone.

La presa di posizione di Young e Mitchell contro il colosso mondiale della musica è arrivata dopo che un gruppo di centinaia di medici e scienziati esperti di epidemiologia e virologia aveva chiesto invano a Spotify di rimuovere in particolare un episodio del podcast, messo online la notte di Capodanno, in cui un epidemiologo novax «aveva promosso numerose falsità sui vaccini» paragonando addirittura la sanità pubblica negli Stati Uniti durante la pandemia alla Germania sotto il nazismo. Infame similitudine serpeggiata, tra l’altro, anche al di qua dell’oceano in non poche delle adunate no-vax degli ultimi mesi.

Mal sopportato da tempo, lo spazio dedicato da Rogan a ospiti ritenuti socialmente pericolosi, «persone irresponsabili che stanno diffondendo bugie che costano vite umane» (ha aggiunto ieri Joni Mitchell schierandosi con il collega), ha così suscitato l’animus pugnandi del 76enne songwriter canadese che, da pacifista ed ex protagonista di Woodstock con il famoso quartetto Crosby, Stills, Nash & Young, ha deciso come Don Chisciotte di combattere eroicamente contro i mulini a vento.

Lui e lei, però, adesso. Da ieri il messaggio si è infatti rafforzato. L’iniziale aut aut di Young a Spotify (o io o Rogan) è diventato molto più forte. Ma non di una sola unità (Joni Mitchell) bensì di una simbolica moltitudine incarnata dalla forza inesausta di un ideale significato “metamusicale” e post-generazionale (il giovanilismo sessantottino pacifista e anticapitalista), che arriva a evocare nuovi movimenti come l’ecologismo e l’ambientalismo impersonati per esempio dal popolo di Greta Thunberg che chiede di non sacrificare più la salvaguardia del pianeta a un mercantilismo globalizzato ormai insostenibile negli attuali termini. È, in fondo, il nodo della vicenda Young e Mitchell vs Spotify. Per la piattaforma di streaming infatti il problema dell’aut aut non si poneva nemmeno visto che con Rogan ha stipulato un accordo di cinque anni da oltre cento milioni di dollari.

Gli introiti dalla pubblicazione delle canzoni dei due artisti “secessionisti” sono ovviamente assai inferiori. Non sbilanciarsi è la soluzione di Jovanotti (e forse di molti), nel dibattito che la vicenda ha innescato sui social media. «Le grandi piattaforme tipo Spotify – dice il nostrano proto-rapper – sono editori a tutti gli effetti, sebbene sbandierino una neutralità nei fatti finta oltre che impossibile». Eppure, Spotify alla richiesta di Young avanzata con una lettera aperta aveva risposto di aver già rimosso finora ventimila prese di posizione fuorvianti sulla pandemia. Facile immaginare che il relativo sacrificio economico sia stato talmente risibile da indurre il venir meno a una neutralità editoriale.

Qualcosa di nuovo aleggia comunque grazie a Young e Mitchell attorno alla musica liquida, ma non liquefatta. Aspettarsi che qualcun altro del mondo artistico segua il loro esempio è forse illusorio, oltretutto dopo due anni di profonda crisi del settore dovuta al Covid. Chi non ha perso invece è proprio Spotify, la cui quota di mercato negli Stati Uniti è cresciuta dal 7 all’83% nel 2020. Ma l’esempio delle due mature star potrebbe – c’è da sperarlo – smuovere altri e dare il via a una mobilitazione positiva.