Opinioni

La famiglia Ulma. L'amore dei genitori dona la santità al figlio che sta per nascere

Lucino Moia giovedì 31 agosto 2023

L’amore di due genitori non dona soltanto la vita ai figli, può regalare anche la santità. Se la fede di mamma e papà è così forte e tenace da poter superare in situazioni estreme anche le prove più terribili, i bambini partecipano pienamente della loro volontà di bene e ne condividono i frutti, anche se non ne sono consapevoli. Inoltre l’amore familiare determina una circolarità virtuosa tanto densa e avvolgente da coinvolgere anche un bambino ancora alle prese con il travaglio del parto e attirare anche lui, a pieno titolo, in una dimensione di santità ricca di mistero e concretezza.

È un messaggio straordinario quello che, attraverso la storia della famiglia Ulma di Markowa, in Polonia, ci regalerà la Chiesa il prossimo 10 settembre. Mamma Wiktoria, papà Jozef e i loro sette figli, trucidati dai nazisti il 24 marzo 1944 perché ospitavano in casa otto ebrei, saranno beatificati tutti insieme. Ieri ne ha parlato anche papa Francesco, durante l’udienza generale salutando i fedeli polacchi presenti a Roma. Perché straordinario? Almeno due i motivi. Il primo riguarda la scelta di beatificare, insieme ai genitori, anche i sei bambini già nati – il più piccolo aveva un anno e mezzo, la più grande sette – e il settimo il cui parto, accelerato probabilmente dai momenti di terrore vissuti dalla madre, non era ancora completato.

Quattro dei sette figli della famiglia Ulma - .

La Chiesa ha deciso che il destino soprannaturale di quei piccoli, insieme al bambino il cui parto era in corso, non può essere separato da quello dei genitori. Ma come – sarebbe facile obiettare – la santità non è traguardo personale, che si raggiunge – per mutuare il linguaggio del catechismo – con “piena avvertenza e deliberato consenso”? Quale consapevolezza può esserci allora in sette bambini piccolissimi? Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero perle cause dei santi, ha parlato di “dimensione comunitaria della santità” per spiegare che, quando in famiglia la vita di fede è vissuta e partecipata con intensità, come prassi quotidiana, come volano di gesti buoni e generosi, gli effetti positivi si trasmettono naturalmente dai genitori ai figli.

La vita del piccolo non ancora completamente nato era poi inscindibilmente legata a quella della mamma, ne respirava volontà e sentimenti. Per lui, anche se non battezzato, vale il concetto del “battesimo di sangue” nella logica del martirio e del “battesimo di desiderio” nella logica del percorso di fede familiare, perché certamente i genitori avrebbero voluto che anche l’ultimo figlio ricevesse al più presto, come i fratellini, il sigillo cristiano. Di fatto il sacramento è stato impartito – idealmente ma non meno efficacemente – grazie alla fede dei genitori, come avviene anche oggi quando si sceglie di cresimare o di dare la Prima Comunione ai bambini con gravi disabilità mentali, contando sulla coerenza cristiana di mamma e papà.

Esiste una grazia di santificazione connessa al sacramento del matrimonio che non coinvolge solo i coniugi, ma si estende in modo diverso ma non meno efficace anche a tutti i figli. L’altro elemento straordinario riguarda la beatificazione di una famiglia intera, nove persone massacrate insieme in una circostanza specifica, determinata dalla volontà di quei genitori di non venire meno al dovere cristiano di tendere la mano a persone minacciate di morte com’erano gli ebrei in quel periodo.

Esistono altri casi di bambini beatificati insieme ai loro genitori, vittime di persecuzioni collettive, come durante la Rivoluzione francese, la guerra civile in Spagna o durante la repressione in Giappone nel XVI secolo. Episodi avvenuti certamente in “odio alla fede” ma di cui è più difficile accertare la volontà individuale delle vittime. Nel caso della famiglia Ulma sappiamo con certezza che il feroce accanimento nazista fu determinato dal coraggio solidale di Wiktoria e Jozef. Non finsero di non vedere. Erano consapevoli che la legge introdotta dai nazisti in Polonia non ammetteva deroghe: fucilazione sul posto per chi ospitava ebrei in fuga. Decisero in coscienza di non poter allontanare i fratelli che bussavano alla loro porta. Gesto d’amore, con grande rilevanza anche sociale, che diventa eroica testimonianza del primo comandamento di Gesù: amatevi come io vi ho amato.