Giovani morti, funerale cristiano,. Se la vita del popolo non si racconta più
Quattro ragazzi morti in un incidente, la notizia passa in fretta insieme a tante. L’estate che deflagra. Le domande che si affollano al cuore e alla mente. Anche se le notizie di questo genere si susseguono, i nostri petti hanno sentito un taglio, un morso. Specie il petto di chi ha già vissuto esperienze simili, o di chi è genitore di figli di quella età. La tragedia, provocata pare da un guidatore in stato di confusione per droga e alcool, ha tolto la vita a Eleonora, Leonardo, Riccardo e Giovanni, ragazzi di Musile e segnato la vita delle loro famiglie. Sono cose che tolgono il fiato e sembrano paralizzare.
Una grande folla si è radunata nei giorni dopo per i funerali nello stadio del paesino di origine, Musile. Secondo il resoconto pubblicato dal primo giornale italiano si è trattato di un ritrovo dove sono volati palloncini bianchi e si è intonata una famosa canzone di Vasco Rossi. Titolo che suona così sin dalla prima pagina, testo adeguato al titolo. Non s trovava cenno nell’articolo che quel ritrovo fosse stato innanzitutto una Messa, un funerale cristiano.
Senza nulla togliere al simbolo leggiadro e dolente dei palloncini e alla bella canzone di Vasco, che con uno dei suoi geniali giochi di parole grida tutta la necessità di un senso della vita, quei genitori, quegli amici, insomma quella comunità ha portato il suo dolore e il corpo dei ragazzi amati in un rito dove si dice che la loro morte non è eterna.
Dove affida tutta questa vicenda terribile alla forza e alla dolcezza di un Dio che si è fatto uomo, ha patito una morte ingiusta ed è risorto. Il fatto, innanzitutto per chi ha amato quei giovani, come tutti noi amiamo i nostri ragazzi, non è irrilevante. Per quel giornale lo era. Che si trattasse di un funerale cristiano si poteva non mettere nell’articolo. La notizia non era che quella gente ferita e dolente pregasse e credesse nella resurrezione, ma che si fossero lanciati palloncini bianchi.
Certo, non è facile descrivere certe cose. Ma non è facile nemmeno non vedere. La vera notizia invece è che una folla intera davanti ai corpi di quattro giovani morti, immersa in un grande dolore, dica alla morte: 'No, non vinci'. La notizia vera è che quella folla si sia radunata intorno ai segni antichi e sempre nuovi di una esperienza di vita che grida alla morte, come diceva san Paolo: 'Ehi, dov’è la tua vittoria?' E che lo ha fatto davanti a quattro bare bianche di ventenni. Tutti matti in quella folla? O tutti visitati, alcuni con maggiore consapevolezza, altri con minore o solo fugace coscienza, che la morte è vinta, e non dalla dimenticanza e dal sentimentalismo, ma da un gesto, da un fatto storico, da un vincitore.
Questo può dare speranza, non certo un volo pur bello di palloncini, fossero pure un miliardo di palloncini. Ma appunto, di questo, in quell’articolo si taceva. Come se non c’entrasse con la cronaca dell’evento, come se non facesse parte della descrizione di quella gente, di quel dolore, di quell’evento. Una visione parziale, come troppe volte vediamo operata dai media a riguardo del nostro popolo. Descritto in articoli che non lo descrivono, inquadrato in tagli di immagine che non ne restituiscono la vera figura. Un popolo descritto, a volte per interesse, a volte per insipienza, diverso da quello che è.
Eppure, la natura di un popolo si riconosce in certi momenti, più ancora che nelle analisi sociologiche e negli orientamenti politici o nelle sue mode. La si riconosce dinanzi a certe prove. Chi fa informazione (e chi pensa) da dentro la realtà lo sa.