Tutti i rischi di una grande depressione. Se la ricchezza ora vale più della produzione
L’equazione crescita uguale benessere non funziona più. Nel mondo occidentale come in Europa. L’incremento dell’economia non è un processo costante che crea progresso a velocità regolare, secolo dopo secolo. Al contrario, il progresso avviene molto più rapidamente in alcuni periodi che in altri. Non ci fu praticamente crescita economica per millenni fino al 1770, poco prima della Rivoluzione Francese. Da lì al 1870 ci fu soltanto uno sviluppo lento, esito dei primi effetti della rivoluzione industriale, mentre l’unica vera crescita tumultuosa ci fu dal 1870 al 1970, con le grandi innovazioni. La formula della premessa è quindi andata in crisi cinquant’anni fa, perché gli avanzamenti dell’ultimo mezzo secolo sono stati incorporati per lo più nell’intrattenimento, nelle comunicazioni e nella raccolta ed elaborazione di informazioni, i Big Data. Per tutto il resto che interessa l’umanità – cibo, vestiario, riparo, trasporti, salute e condizioni di lavoro dentro e fuori casa – il progresso ha rallentato, sia qualitativamente che quantitativamente. Le disuguaglianze con l’era di Internet sono aumentate, la redistribuzione del reddito è peggiorata, la richiesta di giustizia e di parità sociale si è riversata sui social network come se queste piattaforme fossero in grado di riequilibrare le sorti della vita delle persone invece che rappresentare macchine di accumulazione di capitale e di condizionamento dei comportamenti. E tutto questo è avvenuto nei decenni in cui si costruiva l’Unione Europea.
Karl Marx, nel descrivere la società comunista scrisse che essa era «la possibilità di fare oggi una tale cosa e domani un’altra, di cacciare al mattino e di pescare nel pomeriggio, di praticare l’allevamento la sera e di fare della critica dopo i pasti. Tutto a proprio piacimento, senza essere pescatore, cacciatore o critico». Correva il 1846, ma sembra l’odierna società digitale, dove si può far tutto senza percepire un reddito ma generandolo per gli altri. È questo il grande paradosso del nostro tempo, che coinvolge in primo luogo proprio il continente più benestante. Il nostro. L’Europa istituzionale che ci guarda a volte con sospetto per qualche decimale di troppo non avverte questo cambiamento epocale che parte da lontano e che rischia di travolgerla. Eppure, anche i sondaggi parlano chiaro. Un europeo su due, anche di più tra gli italiani, vouole la 'presa' dei palazzi del potere da parte dei partiti sovranisti, perché confidano nella loro capacità di riformare l’architettura comunitaria. Alcuni esecutivi europei, come quello di Giuseppe Conte, sono nati proprio come esito di questo spread sociale, che si amplia ogni giorno. La quinta rivoluzione, quella della comunità, avviene peraltro mentre molte cose promettono di cambiare all’interno dei palazzi che a loro volta dovrebbero guidare il cambiamento.
Per la prima volta muterà l’assetto del Parlamento Europeo, che non sarà più diviso tra le due grandi famiglie storiche, i popolari e i socialisti riformisti, finora elementi di equilibrio tra le forze e i Paesi dell’Ue, che poggiavano a loro volta sull’asse politico tedesco tra la Cdu e la Spd. Nell’ultimo quarto di secolo tutti i presidenti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo sono stati espressione di un accordo tra queste due famiglie. Non sarà più così. I socialdemocratici europei sono in grande crisi, si dovrà capire dove si collocheranno il partito francese di Emmanuel Macron, il partito spagnolo Ciudadanos e gli italiani Movimento 5 Stelle e Lega, mentre anche l’uscita degli inglesi, dal momento che i loro conservatori non fanno parte del Partito popolare europeo e invece i laburisti sono nel gruppo dei progressisti, avrà i suoi effetti. Nello stesso tempo, cambieranno tutti i vertici delle istituzioni europee e personaggi quali Jean-Claude Juncker, Mario Draghi e Donald Tusk, non saranno ricandidati o ricandidabili ai vertici di Commissione, Bce e Consiglio europeo. L’equilibrio politico europeo risulterà perciò terremotato, proprio quando si dovrebbero trovare risposte comuni alle istanze economiche.
Si entrerà in una nuova fase, molto più instabile, dove, invece di occuparsi dell’aumento delle disuguaglianze e della redistribuzione del reddito si verrà probabilmente condizionati dal dibattito sulla minaccia fantasma dell’«invasione» dei migranti. L’Unione Europea, con la sua formula perduta del benessere, si trova perciò al centro di una rivoluzione geopolitica, perché non basta più crescere. Lo smottamento è spaventoso. Si può essere ricchi, ricchissimi, più di un intero piccolo Stato, come accade ormai alla fortuna personale dei grandi big padroni degli over the top digitali, e addirittura avere un patrimonio superiore a quanto prodotto da tutti i Paesi. Questo limite, apparentemente invalicabile, è prossimo dall’essere superato. La ricchezza mondiale degli High Net Worth Individual (Hnwi), ovvero di coloro che possiedono investimenti superiori a un milione di dollari (esclusa la prima casa), ha superato nel 2017 per la prima volta la soglia dei 70 mila miliardi di dollari, con un aumento del 10,6% sul 2016 (era di 42,7 mila miliardi nel 2010), sesto anno consecutivo di boom. Esattamente, dollaro più dollaro meno, quanto vale l’intero Pil mondiale. Come se il plusvalore, sempre per citare il vecchio Marx, contabilizzasse quanto la stessa produzione. O di più.
Non c’è da stupirsi allora se le disuguaglianze continuano ad aumentare anche in presenza di crescita. Il numero dei ricconi planetari è arrivato a 18,1 milioni (+9,5% sul 2016), quasi il doppio rispetto ai 10,9 milioni di fine 2010 e riesce a produrre ricchezza più del resto dei sette miliardi di terrestri. Nel Rapporto mondiale sulla ricchezza ( World Wealth Report) 2018 di Capgemini, che già a suo tempo aveva evidenziato come il percorso di questa fosse ormai completamente avulso dalle vicende dell’economia (negli anni della crisi dei bond sovrani proprio Grecia e Italia avevano fatto registrare il maggior aumento di 'nuovi ricchi'), risulta che il 2017 si classifica al secondo posto tra gli anni con il più ampio tasso di aumento di ultra ricchi dal 2011, anno funesto per tutti. Gli esperti considerano a questo punto raggiungibile, nel 2025, anche il target di 100mila miliardi di asset in mano agli Hnwi. Il 'pianeta Italia' non fa eccezione.
A fronte di un aumento delle nuove povertà, con circa sei milioni di famiglie sotto questa soglia pericolosa, oltre a crescere Pil (+1,6%), valori immobiliari (+2,7%) e capitalizzazione di Borsa (+23%) tra il 2016 e il 2017 da noi è aumentato anche il numero dei ricchi, di circa il 9%, da 251.500 a 274 mila, e siamo in decima posizione della top ten degli Stati per numero di persone facoltose, insieme a Usa, Giappone, Germania, Cina, Francia, Regno Unito. Il piccolo esercito dei fortunati infittisce le sue file, gli Stati si impoveriscono, i governi, impotenti, si limitano a sigillare i confini quando i problemi sono più dentro che fuori. La Grande Depressione della società occidentale sembra solo all’inizio.