Opinioni

L'orrore. Se la guerra vista dal drone mostra uomini schiacciati come formiche

Marina Corradi giovedì 3 ottobre 2024

Un drone vola alto sopra ai fumi di una battaglia, nel Donbass. Sotto, c’è una boscaglia confusa nella nebbia dei colpi di cannone. Dalla nebbia spuntano, su una sterrata, dei puntini bianchi piccoli come formiche. Alcuni puntini ne afferrano a forza altri, li mettono in fila. Tutti in fila: sedici puntini. Poi, fuoco.

I puntini ora sono riversi a terra, immobili. Tranne un paio, che ancora si contorcono. Un colpo di grazia li finisce, si vede il fumo dalla canna.

Quei 16 puntini erano uomini, soldati ucraini che vicino al villaggio di Mykolaivka, nel Donetsk, si erano arresi ai russi. Fucilati sul campo. Una delle più gravi violazioni del diritto internazionale operate in Ucraina dai russi, secondo Kiev. Ma il diritto internazionale non è granché tenuto in considerazione, in questa guerra feroce. Ci sarà un tribunale, ci sarà un giudice per questi crimini? Chissà. I tribunali, li fanno i vincitori.

Resta il fatto che quei 16 puntini erano uomini. Molto giovani probabilmente, perché Kiev sta mandando al fronte, nella carenza di soldati, le leve più giovani. Male addestrati, mandati allo sbaraglio. Alcuni presi a forza nelle città, e spediti al fronte.

Da lì, non pochi cercano di scappare. Ragazzi di diciotto o vent’anni: mai saputo cos’è una guerra, nessuna memoria di quando l’Ucraina era Urss. Non sanno perché dovrebbero combattere, non sanno tenere in mano un mitra. Tra quei sedici, quanti erano appena ragazzi?

Li hanno messi in fila, loro sono rimasti immobili, sgomenti. Appena il tempo di pensare alla madre, di balbettare un’ultima quasi dimenticata preghiera: quanto disperatamente non si vuole morire, a vent’anni. Già arresi, le braccia alzate e inermi: annientati in un secondo. Il drone ronzava alto, e da lassù quei puntini minuscoli paiono tutti uguali. Offende quasi, la ripresa dal cielo che racconta gli uomini eguali, insignificanti come insetti.

Insetti. Appena chiudo il video, dalla memoria risale un ricordo lontano. Giocavo da bambina in giardino in montagna e, inginocchiata per terra, osservavo con stupore e rispetto una fila di formiche operose. Un ragazzino arriva accanto a me e prende a schiacciarle con le scarpe. “Ma perché?” gli ho chiesto, arrabbiata. “Che te ne importa, non vedi come sono piccole?” Alcune formiche si contorcevano negli spasmi. Sono passati quasi sessant’anni e le vedo ancora, sulla ghiaia bianca del cortile. Anche due di quei puntini nel Donetsk si contorcevano così.

Mai avrei pensato, una vita dopo, di ritrovarmi davanti qualcosa di analogo, ma con uomini al posto delle formiche. L’occhio alto e imperturbabile dei droni ci racconta a volte la vita, e la morte, in un modo che spaventa. Come nello sguardo di un angelo d’acciaio, algido e indifferente. Muoiono? Che importa, da lassù paiono insetti.

Se il web ci mostra la guerra in questo modo, dobbiamo imparare e insegnarci a tradurre quelle immagini in termini umani. A saper riconoscere in ogni puntino un uomo, e la sua angoscia. Mentre, a casa, sua madre, ignara, prega e aspetta.

Non tornerà, non torneranno. Forse nemmeno i loro corpi verranno restituiti. Quei corpi formatisi lentamente, per nove mesi, nel ventre di una donna: attesi, sognati, dati alla luce, abbracciati. E poi, il video lo prova chiaramente, quanto poco basta, per annichilirli: un colpo di pistola.

Tutto, visto dal drone, è così insignificante e lontano: formiche. Dobbiamo insegnare ai figli a vedere davvero queste immagini. E ricordarci che ciascun punto in un video sfocato, traballante, annebbiato di fumi di cannoni, è un figlio. Uguale ai nostri. Quindi amato, unico, irripetibile.