Se infine è una Comunità ebraica a pagare per conto di un nazista
Caro direttore,
è una storia che non so bene come definire: grottesca, comica, di ordinaria, burocratica miopia? Comincia nell’ormai lontano 1996. Il 1° agosto di quell’anno una Corte di giustizia italiana, pur riconoscendo le responsabilità dell’ex capitano delle SS Erich Priebke per quel che riguarda l’eccidio alle Fosse Ardeatine, ritiene di applicare le attenuanti generiche, e dichiara di «non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione»; ne ordina l’immediata scarcerazione. Una sentenza accolta con grande indignazione dai familiari delle vittime, dalla comunità ebraica di Roma, dalla Roma civile e democratica. La pacifica protesta attorno alla sede del Tribunale militare, si protrae fino a notte fonda. Interviene il ministro della Giustizia di allora, Giovanni Maria Flick, che riesce a trovare una norma che blocca l’iter di scarcerazione, e dispone un nuovo processo. Priebke viene infine condannato all’ergastolo; lo sconta in parte nel carcere militare, poi ai domiciliari, in un appartamento di un cittadino, diciamo così volenteroso, che glielo mette a disposizione. Ai domiciliari Priebke resta fino a quando non sopraggiunge la morte, l’11 ottobre 2013. Priebke non dimentica quella manifestazione del 1° agosto 1996: si ritiene vittima di una sorta di sequestro di persona, e – con i suoi legali – individua in Riccardo Pacifici e in chi scrive, gli organizzatori del sequestro. Ci troviamo indagati, finiamo sotto processo. Assolti in primo grado, nel successivo e in Cassazione. Pago di tasca mia l’avvocato che mi ha difeso, non chiedo un centesimo di risarcimento per il danno che la vicenda mi ha procurato: con Priebke non voglio aver nulla a che spartire. Priebke, in quanto querelante-soccombente è condannato a pagare le spese processuali. Per quel che mi riguarda la vicenda finisce. Passano gli anni; nel maggio 2013 mi viene recapitata una busta, con l’ingiunzione a pagare 285 euro per spese processuali. Chiedo chiarimenti; come mai mi si chiede di pagare al posto di chi ha perso, ed è stato condannato? A questo punto il dialogo si fa surreale: «Priebke risulta nullatenente, dunque anche se voi avete vinto la causa, dovete pagare. Lo Stato non può andare in perdita. Però, dopo, se vuole, lei si può rivalere nei confronti di Priebke». Non è questione di alcune centinaia di euro; è questione di principio. In generale, perché non mi sembra molto giusto che chi viene assolto debba far fronte a spese che chi è condannato non paga; nello specifico: un nazista mi perseguita, e alla fine devo pagare al suo posto, pur essendo messo nero su bianco che non sono colpevole di nulla. Sono, politicamente parlando, allievo della scuola di Marco Pannella, radicale da quando indossavo i calzoni corti. Inerme, ma non inerte. Sollevo mediaticamente il caso. Se ne occupano giornali e televisioni. Trascorrono un paio di giorni, colleziono un robusto dossier di reazioni e dichiarazioni indignate e stupite. Infine la notizia: un anonimo benefattore decide di pagare lui, le spese processuali. È evidente che qualcuno ha pensato di metterci una toppa in questo modo. Grazie, «anonimo». Non ci penso più. Storia chiusa? No. Un paio di settimane fa una nuova busta dell’Agenzia delle entrate- Riscossione, con un papiro di carte che non finisce mai; il cui succo è in un bollettino, che mi invita a pagare 291 euro e 21 centesimi entro sessanta giorni dalla notifica: «277.02 controllo tasse e imposte indirette anno 2007; 8.31 oneri di riscossione spettanti a Agenzia delle entrate-Riscossione; 5,88 diritti di notifica spettanti a Agenzia delle entrate-Riscossione». E «l’anonimo benefattore »? Chissà che fine ha fatto. Ammirevole, non c’è che dire, l’Agenzia delle entrate-Riscossione, che implacabile non dimentica: e torna a farsi viva, sei anni dopo la prima ingiunzione; ventitré anni dopo la notte del presunto sequestro; una dozzina d’anni dopo che tre sentenze «in nome del popolo italiano» hanno certificato che quel sequestro non c’era stato, e che comunque né Pacifici né io siamo colpevoli di alcunché. In queste ore in tanti, colleghi e non, mi hanno espresso solidarietà e vicinanza. La più cara e preziosa è quella della presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello: «Mi auguro sinceramente che le istituzioni e le autorità sappiano comprendere quanto gravi possono essere gli effetti e le ricadute di questa stortura giudiziaria e riportare nei giusti canali il messaggio che la memoria di una società democratica e civile deve diffondere. Per questa ragione ci siamo offerti di pagare noi le spese, affinché diventi ancora più evidente l’assurdità di questa decisione». Credo che Ruth e la Comunità abbiano pienamente colto la gravità della cosa: credo che si debba riflettere su quanto hanno colto con esattezza: «Quanto gravi possono essere gli effetti e le ricadute di questa stortura giudiziaria». Sono in errore se la considero frutto di una burocrazia miope e venata di follia; esagero se considero una beffa, un oltraggio, un insulto, quanto mi è accaduto e accade?
Che giustizia è mai quella che porta la Comunità ebraica romana a pagare per conto di un criminale nazista che ha intentato una causa temeraria contro persone colpevoli solo di aver protestato per una sentenza assurda (i crimini contro l’umanità non si prescrivono!) e che avrebbe consentito a quello stesso criminale di sottrarsi a un giusto processo? È una non-giustizia, ovvero una palese ingiustizia, caro Vecellio. Abbiamo storie diverse e riferimenti ideali differenti, ma uno stesso senso dell’essenziale. E siamo cronisti entrambi. Ne abbiamo viste, dunque, e raccontate di storie così, nella nostra vita professionale, eppure ogni volta riusciamo a indignarci come la prima volta, con un’incredulità che si fa più amara, una costernazione che diventa persino più lancinante. Ma soprattutto continuiamo a non rassegnarci a queste manifestazioni – cito dalla tua lettera – di una «burocrazia miope e venata di follia». Code sferzanti che spuntano in troppe vicende di rapporto tra noi cittadini e le varie articolazioni della nostra Pubblica amministrazione. Che almeno resti scritto e si sappia. E chi ha osato affermare e ancora sostiene che Priebke qui in Italia è stato una “vittima” più che un carnefice, almeno si renda conto che su questa terra l’algido e feroce protagonista dell’eccidio delle Fosse Ardeatine si è lasciato alle spalle debiti pesanti, moralmente e materialmente mai onorati.