Opinioni

Il direttore risponde. Se i giovani di Ac diventano invasori

giovedì 4 novembre 2010
Caro direttore,domenica scorsa di buon mattino ho scoperto che Roma era stata offesa tragicamente da un’orda barbarica. Ne ho avuto notizia sfogliando "Repubblica", giornale che sono abituata a comprare abbastanza spesso (visto che Avvenire non ha cronaca cittadina), ma credo che cambierò abitudine… La grande doppia pagina iniziale della cronaca romana di questo giornale era infatti dedicata all’«Invasione dei centomila» e a ciò che aveva significato: «Il centro paralizzato per ore». Punto e basta. Insomma una requisitoria contro i ragazzi dell’Azione cattolica che si erano riuniti per andare dal Papa e avevano «mandato in tilt la città». Dei veri attentatori della tranquillità pubblica! Il loro responsabile era intervistato con fare accusatorio, un amministratore locale veniva chiamato a spiegare perché si fosse permesso tutto questo. Non ho mai visto e letto una cosa del genere, neanche dopo cortei di gruppi e gruppuscoli capaci di bloccare il cuore di Roma, d’imbrattare muri di case, musei e chiese e qualche volta di provocare tensioni pesanti e persino scontri con le forze dell’ordine. Io ho invece visto quei ragazzi: non erano barbari e si sono comportati con straordinaria civiltà. Uno spettacolo bello e confortante. Che dia fastidio il semplice fatto che ci sono e si sono fatti vedere? Un cordiale saluto

Lucia Palladino, Roma

Ho recuperato gli articoli di giornale di cui lei parla, gentile amica. E sono rimasto a mia volta sbalordito, anche perché Repubblica è un quotidiano importante e, pur dichiarando e mantenendo un’ottica ben delineata e a volte militante, ha una seria tradizione di oggettività. Sono rimasto colpito perché da quelle righe emerge un fastidio palese e una malcelata ostilità contro la «processione» dei giovani, sentita evidentemente come scandalosa. Ma anche per il falso senso civico con cui questi sentimenti sono stati ammantati, per la vibrante indignazione a causa – udite, udite – dell’«onda d’urto» che il «fiume umano» ha scatenato sulla città eterna, da Piazza San Pietro al quartiere Prati-Borgo sino alla Cassia e alla Nomentana... I millecinquecento pullman citati come capo d’accusa. I colpi di clacson di automobilisti «furibondi», «urlanti» e pronti a salire con tutte le ruote sui marciapiedi, portati come aggravanti. Devo dire che, dalla lettura di questa impressionate prosa giornalistica ho imparato definitivamente due cose. La prima (ma lo sapevo già) è che centomila persone "vere" che si muovono a piedi per Roma sono tantissime e, dunque, le milionate (o le centinaia e centinaia di migliaia) periodicamente ed entusiasticamente raccontate in occasione della discesa in piazza di questo o quel "popolo" variamente colorato sono favole per creduloni, strumentali a ben precise operazioni politiche. La seconda è che, in certi ambienti, il tasso di intolleranza nei confronti dei cattolici può superare di slancio il limite del ridicolo e può arrivare a negare l’evidenza. E l’evidenza è che a Roma, sabato 30 ottobre, l’Azione cattolica italiana ha mostrato a Papa Benedetto e alla città un volto giovane, bello e pulito della nostra Italia. I composti spostamenti per le vie della città hanno ribadito che c’è un altro modo di manifestare e manifestarsi anche come moltitudine. I gesti, le parole, i canti, di centomila ragazzi assieme a quelli degli adulti, dei sacerdoti e dei vescovi che hanno camminato al loro fianco, hanno insomma raccontato fede e gioia, speranza e consapevolezza. Su Avvenire di domenica scorsa – con Davide Rondoni, Mimmo Muolo e Laura Badaracchi – abbiamo dato il senso, la freschezza e la profondità di tutto questo. E con il resoconto integrale dell’intenso dialogo tra il Santo Padre e i protagonisti dell’incontro abbiamo offerto a tutti forti motivi di riflessione. Grazie, cara signora Lucia, per avermi dato l’occasione di sottolinearlo di nuovo. La saluto con cordialità anch’io, con un’annotazione finale: all’offensivo fastidio di certuni sarebbe sbagliato dare troppo peso, ma è giusto registrarlo. E tenerne conto.