Opinioni

Informazione. Italiani sonnambuli? Colpa dei media emotivi

Gerolamo Fazzini sabato 23 dicembre 2023

Giornalismo più attento al sensazionalismo che ai temi chiave Il libro col quale Christopher Clark, docente a Cambridge, ricostruì nel 2012 come l’Europa arrivò alla Grande Guerra si intitola I sonnambuli. Quanti detenevano le leve del potere - questa la tesi dell’autore apparentemente erano vigili, ma di fatto si mostrarono incapaci di vedere l’orrore che stavano per scatenare. Nell’ultimo Rapporto Censis, pubblicato il primo dicembre, colpisce il fatto che gli italiani vengano definiti con lo stesso termine: «sonnambuli». Ovvero «ciechi dinanzi ai presagi». Leggiamo nel Rapporto: « Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza». Per troppo tempo, denuncia il Censis, problemi tipicamente italiani sono stati colpevolmente ignorati, o quasi, dai media. Su tutti la denatalità. In effetti, la questione demografica (che ha visto “Avvenire”, a lungo, svolgere il ruolo di inascoltato canarino in miniera) solo di recente è diventata motivo di allarme mediatico generale. Perché? Forse che alcuni temi impegnativi sono giudicati poco interessanti per il pubblico? Sta di fatto che oggi ci troviamo in una situazione molto critica: è mancato un “pensiero a lungo termine”, a livello politico e non solo. « Il sonnambulismo non è solo attribuibile alle classi dirigenti, ma è un fenomeno diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani», osserva il Censis. Non sarà, allora, che qualche colpa l’abbiamo anche noi operatori dell’informazione? Non è tempo di riflettere sul progressivo scivolamento dell’interesse dei media verso il “nuovo” (inteso come lo “stra-ordinario”, il “novum”), spesso a scapito del rilevante, ossia di ciò che è importante che il cittadino sappia per esercitare consapevolmente le sue scelte? Esiste, e non da oggi, la domanda di un’informazione diversa, più attenta al bene comune invece che alla ricerca del sensazionale. Ma in che misura viene colta e soddisfatta? Il fatto è che pure i media sono schiavi di quel che il Censis definisce «il mercato dell’emotività». Un’informazione troppo spesso piegata alle logiche del click baiting e del consenso a basso costo, che adora i trend topic (i temi “di tendenza”) e perde di vista la profondità rischia di mettere i cittadiniutenti in balia di emozioni più che di argomenti razionali. Osserva il Rapporto: « Nell’atmosfera emotiva in cui la società italiana si è immersa, vincono le credenze fideistiche: ogni verità ragionevole può d’improvviso essere ribaltata, sbullonata dal piedistallo della indubitabilità per effetto di una nuova onda emotiva». Abbiamo toccato con mano i rischi di un approccio superficiale alle news durante la pandemia da Covid. Non solo: oggi abbiamo chiaro che un’informazione schiava dell’emotività favorisce la costruzione di falsi bersagli e di priorità inesistenti (come documentava pochi anni fa Nando Pagnoncelli nel volume La Penisola che non c’è). « Democracy dies in the dark », recita il motto del “Washington Post”. Potremmo parafrasarlo dicendo che la democrazia muore nel buio di un’informazione di corto respiro, incapace di leggere i “segni dei tempi”. Ma muore anche se i cittadini decidono di abdicare ad un’informazione seria, accontentandosi di abbeverarsi ai social media, che, fatalmente, selezionano tanto le notizie quanto i giudizi obbedendo a Sua Maestà l’algoritmo. Un Paese migliore ha bisogno di un’informazione sempre più di qualità, di un giornalismo civile, che tratta i destinatari da cittadini e non solo da clienti. «Contro la disinformazione che alimenta nuove paure e nuove fragilità - ricordava il presidente Mattarella nel suo messaggio per i 55 anni di “Avvenire” - i media sono chiamati ad entrare nel cuore degli avvenimenti, per restituirne l’essenza». Tutto ciò potrà svilupparsi soltanto con un comune sussulto di responsabilità e una rinnovata alleanza fra editori, giornalisti e pubblico.

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