Caro direttore,ho letto e riletto l’intervista al ministro Gelmini riportata su Avvenire del 12 marzo circa la scuola paritaria, e non ho potuto frenare la gioia e la soddisfazione per quanto andavo leggendo. Mi son detto: finalmente un ministro che tifa per le scuole paritarie e che dice pane al pane. La legge 62/2000 sulla parità scolastica è incompiuta, perché chi l’ha varata non ha fatto bene i conti, proprio come il ministro giustamente ricorda quando dice che «l’impostazione originaria della legge è stata quella della soluzione normativa al problema della parità con una sottovalutazione delle condizioni necessarie per la sua messa in opera. Il processo si è messo in moto e procede, ma risente dei limiti dell’impostazione originaria». Come ostinarci a non riconosce che se qualcosa non funziona bene nella nostra Italia è perché i «comunisti» ci hanno messo le mani, mentre ora fortunatamente abbiamo un governo che sta dalla nostra parte e auspica che «sulla parità lo Stato deve fare di più». E poiché questo è il «governo del fare», senza indugio, dalle parole si passa ai fatti! Ecco allora che grazie al governo del fare, gli italiani sono riusciti a risparmiare alcuni milioni di euro «dall’assalto alla diligenza» programmato a orologeria dall’opposizione in occasione della Finanziaria. I dati parlano chiaro: il risparmio che il governo avrebbe voluto realizzare nel suo «fare di più» per le scuole paritarie, nel 2009 sarebbe stato di 133,5 milioni di euro, ma i «comunisti» hanno voluto reintrodurne 120. Nel 2010 l’assalto alla diligenza ha fruttato ai soliti «comunisti» ben 130 milioni annullando lo sforzo del Governo e riducendo a soli 5 milioni di euro il risparmio programmato. Nel 2011, se non ci sarà l’assalto alla diligenza, il risparmio prospettato è di 220 milioni di euro. Riuscirà stavolta il signor ministro a «salvare» le scuole paritarie dai «comunisti» che vorrebbero finanziarle. Il ministro mi perdoni l’ironia, ma non sarebbe stato più semplice rifiutare l’intervista? Il governo in campagna elettorale ha dichiarato di voler impegnarsi a favore della piena parità scolastica, e la strategia usata è stata quella di inserire tagli consistenti alla misera elemosina che finora era riservata alle nostre scuole. Questo da subito e contro il parere dell’opposizione. C’è voluto un anno perché i 120 milioni potessero arrivare alle nostre casse! E l’ostacolo non è venuto dall’opposizione, ma dal governo che non ha voluto che il Parlamento votasse l’emendamento proposto dalla maggioranza e sostenuto dalla minoranza per il ripristino immediato dell’intero importo? Lo sa il ministro che la legge sulla parità impone ai nostri istituti di accogliere tutti coloro che lo chiedono, anche se portatori di handicap e che il costo dell’insegnante di sostegno è sostenuto dalla retta di tutti i frequentanti, perché lo Stato non interviene? Il ministro delle Pari Opportunità Carfagna, non trova in ciò qualcosa di disdicevole che meriti di essere tolto? Lo sa il ministro Gelmini che in Veneto – la mia regione – le scuole dell’infanzia coprono il 70% della domanda e la Regione Veneto per questo «prezioso, qualificato ed insostituibile servizio» elargisce (quando il Patto di stabilità lo permette) l’astronomica cifra di 13 euro al mese a bambino? Quest’anno la crisi ha consigliato molte famiglie a non iscrivere il proprio figlio alla scuola dell’infanzia della mia parrocchia, perché sarebbe stato loro impossibile pagare la retta e questo avrebbe comportato la chiusura di una sezione e la conseguente perdita di lavoro per un’insegnante. La mia parrocchia ha deciso di offrire a queste famiglie rette agevolate, accollandosi il costo del debito, perché nessun bambino e nessun dipendente dovesse rimanere a casa.Chiedo al ministro Gelmini: per favore desista dal suo proposito di «fare di più», perché le assicuro che né la mia scuola, né altre scuole sarebbero in grado di sopportare un ulteriore taglio dei contributi, visto che il fare di questo governo è chiaramente indirizzato a «fare di più» da questa parte! So che a breve diventerà mamma. Le auguro che questa bella esperienza riempia di gioia la sua vita e quella di suo marito, e se una sera, guardando la vostra figlia dormire serena, avrete voglia di giocare, provate a pensarvi una famiglia monoreddito con 1.200 euro al mese, casa in affitto, mutuo per l’auto, costo dei pannolini e l’incubo di 400 euro mensili di retta per il nido (unica condizione per poter accedere a un lavoro anche per la mamma). Che cosa vi verrebbe da scrivere al ministro della Pubblica Istruzione di questo «governo del fare»?
don Carlo Velludo, Treviso
Caro direttore,chi le scrive è il dirigente scolastico dell’Istituto Leonino, scuola paritaria diocesana di Terni. Il motivo è il seguente: mentre il ministro Gelmini dichiara (Avvenire del 12.03) che sulla parità lo Stato deve fare di più, nello stesso tempo abbatte i contributi dello Stato, in questo anno scolastico 2009/2010, del 35% e questo dopo i tagli già significativi dello scorso anno (pari a 13 milioni di euro). La realtà è che così vuole costringere tutte le scuole paritarie, di ogni ordine e grado, a chiudere. Credo che bisognerebbe levare una protesta significativa. Altro che progressiva attuazione della legge n. 62/2000! Quando si riuscirà a far comprendere che le scuole paritarie sono un grande guadagno per lo Stato e per la scuola statale, anche in termini economici? Lo Stato, se volesse, avrebbe gli strumenti idonei (ispettori e altro) per discernere le scuole autentiche dalle pseudo-scuole che danneggiano tutto il sistema della scuola a gestione non statale. Bisogna che anche Avvenire si faccia ora portatore di una forte protesta anche se, lo riconosco, non è certo latitante su questo problema. Grazie dell’accoglienza.
STRONG>don Gianni Colasanti
Credo non colpisca solo me il tono accalorato della vostra protesta, cari amici sacerdoti, ma come non giustificarlo e, anzi, condividerlo, rendendosi conto che la flagrante inadempienza dello Stato nei confronti della scuola paritaria ne sta minando le fondamenta? Come non reagire allo stillicidio di chiusure che anno dopo anno riduce sempre più il già esiguo numero di istituti paritari non statali? Eppure questa presenza, privata nella gestione, ma pubblica nell’esercizio – e per questo sottoposta a regole ancora più severe di quelle della scuola statale, ad esempio sul versante edilizio e della sicurezza – consente allo Stato risparmi enormi (l’aggettivo non è esagerato, perché si tratta di miliardi di euro, come abbiamo tante volte documentato). Per questo la cifra che dal bilancio statale oggi giunge alle scuole paritarie – meno dell’1% di quanto investito nell’istruzione statale –, peraltro sempre con enorme ritardo e incerta fino all’ultimo, è più motivo di indignazione che di riconoscenza. Mi associo quindi a voi, cari amici, nel chiedere che si ponga fine a questa altalena che tiene da anni col fiato sospeso tante istituzioni il cui prestigio si è costruito lungo decenni di servizio generoso; che lascia nell’incertezza migliaia di docenti e di personale tecnico e ausiliario che hanno, al pari dei colleghi di scuola statale, diritto a lavorare serenamente; che inquieta centinaia di migliaia di allievi e famiglie, i quali non devono sentirsi ulteriormente vessati nell’esercizio di un diritto che avviene secondo le leggi dello Stato. Sono convinto che il ministro Gelmini intenda davvero e positivamente «fare di più» nell’applicazione della legge e nel rispetto del principio paritario che ne discende. Sono convinto che voglia porre fine all’era della «precarietà» per la scuola pubblica non statale. Sono convinto, con voi cari amici, don Carlo e don Gianni, che il momento è arrivato da un pezzo.