Opinioni

Poco da ridere, molto da decidere. Scelte spartiacque

Francesco Riccardi martedì 25 ottobre 2011
C'è poco da ridere e molto da decidere, in quest’autunno italiano ed europeo. Noi, in particolare, nel giro di 48 ore ci giochiamo una buona parte del nostro futuro. Costretti a mettere sul piatto la posta sulla quale puntare, dopo che troppo a lungo abbiamo indugiato non scegliendo. Costretti probabilmente anche a fare chiarezza sul quadro politico, a risolvere le incertezze che si sono accumulate, a sciogliere i nodi che si sono andati aggrovigliando.I sorrisini sarcastici della coppia Merkel-Sarkozy sulla nostra affidabilità sono più gaffe che schiaffo diplomatico. Ma non c’è tempo per sottilizzare: occorre rispondere coi fatti, più che a parole. La nostra politica porta grandi responsabilità, eppure non siamo un Paese da barzelletta (nonostante più d’uno insista a raccontarne). Siamo e restiamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa e il nostro export, anche tra i venti di recessione mondiale, ha continuato a crescere. Le nostre banche, a dispetto delle speculazioni ribassiste, sono adeguatamente capitalizzate, non esposte eccessivamente sul piano internazionale e hanno superato tutti gli stress test. Non altrettanto può dirsi per gli istituti transalpini e per quelli tedeschi. Certo, sulle nostre spalle grava il macigno di un debito pubblico pari a circa 1.900 miliardi di euro, il 120% del Pil. Ma la ricchezza delle famiglie italiane, data dalla nostra capacità di risparmio, è ancora una montagna pari a quattro volte quel debito. E il nostro avanzo primario (al netto degli interessi) è tuttora il più consistente d’Europa. Queste cose, ovviamente, gli investitori internazionali le sanno: siamo solventi, possiamo ripagare i nostri debiti. Ma possiamo anche essere "spolpati". E proprio questo dobbiamo evitare.Perciò la gaffe-schiaffo di francesi e tedeschi – che ieri ha sollevato in Italia reazioni sdegnate pressoché unanimi e suggerito tardivi imbarazzi a Parigi e Berlino – può diventare salutare se ci induce a reagire imboccando finalmente la strada delle riforme necessarie. Lo sviluppo, infatti, si può riaccendere agendo in quattro direzioni. Anzitutto con semplificazioni e sagge liberalizzazioni, poi con la dismissione ben gestita di parte del patrimonio pubblico. Soprattutto, mettendo finalmente mano a una riforma organica della previdenza. Se si eliminano le rendite di anzianità e s’innalza gradualmente l’età pensionabile si può ottenere il duplice obiettivo di rendere più equo il patto generazionale tra giovani e anziani e nel contempo liberare risorse preziose. Da destinare – attuando finalmente la riforma fiscale da troppo tempo promessa e attesa – all’alleggerimento della pressione sulle famiglie con figli, sui lavoratori e sulle imprese. I perni della crescita da inserire in un decreto sono e restano ancora questi, mentre uno sviluppo sano e duraturo non può basarsi su una gragnuola di condoni (ipotizzati e poi smentiti ieri) o su provvedimenti dal sapore estemporaneo.Ci sono scelte che in queste ore fatalmente segneranno uno spartiacque, renderanno evidente quanto la crisi del debito dipenda o meno da una crisi di credibilità politica, da un deficit di progettazione, di capacità di realizzazione e di responsabilità nazionale di governo e Parlamento. Scelte, o non-scelte, che misureranno la distanza tra il Paese reale – quello che mostra ancora oggi un tessuto sano, vivo e operoso, per quanto segnato dalla fatica della stagnazione – e la sua rappresentanza politica. Sulle pensioni si sta cercando un compromesso all’interno della maggioranza. Che sia alto ed efficace. Perché questo è il momento della lucidità, del coraggio e del disinteresse personale (e di parte). Continuiamo a sperare che ce ne siano abbastanza per trasformare una minaccia grave e incombente in una sfida positiva e utile al Paese.