Scegliamo il seme giusto. Il cammino di futuro e l'agguato d'odio
Pianti un seme di futuro a Stoccolma e puoi vedere spuntare fiori di speranza in tutto il mondo. Pianti un seme d’odio a Macerata, a Nairobi o in Egitto e puoi raccoglierne il frutto avvelenato in Nuova Zelanda. Funziona così, nell’era del villaggio globale, anche e soprattutto a causa di quel potente annaffiatoio mediatico che è il web, con i suoi social media sullo schermo degli smartphone di grandi e piccoli, ragionanti o fanatici d’ogni risma.
Allora, è chiaro e perfino scontato, tutto dipende da quale seme decidi di piantare. Ma chiuderla qui sarebbe troppo facile e, al tempo stesso, troppo superficiale. Dànno molto di più su cui riflettere, i due casi che hanno monopolizzato i notiziari della giornata di ieri: le manifestazioni di studenti per chiedere una svolta ambientale e la strage anti-islamica messa in atto in due moschee da un giovane che si è autodefinito, tra l’altro, fascista.
Già, fascista. Un australiano. Perché non c’è strada, ponte, palazzo o "treno in orario" in grado di durare e perpetuarsi quanto un seme d’odio. E spaventa, spaventa davvero e fa male, quel riferimento a Luca Traini, l’autore del raid armato di Macerata contro i neri di pelle, su uno dei caricatori del killer. Così come è indicativo il fatto che le modalità della sua disumana "impresa" richiamino alla mente le stragi che proprio i terroristi fondamentalisti islamici hanno tante volte compiuto, colpendo chiese cristiane e moschee rette da imam renitenti al jihadismo o di altra screziatura dell’islam. Gli estremi si cercano e alla fine si trovano, si toccano, si assomigliano, anzi si eguagliano. L’odio genera odio.
Greta e Brenton, la sedicenne iniziatrice della battaglia pacifica dei giovani per un clima migliore e il ventottenne assassino di Christchurch (Chiesa di Cristo, anche la toponomastica può essere amaramente beffarda, accostata alla furia omicida) hanno un aspetto in comune: la volontà e la capacità di comunicare. Comunicare la speranza, lei; comunicare l’annientamento del "diverso", lui.
Ma il punto è: chi decide che cosa far crescere? E la risposta è inquietante, anzi dovrebbe essere inquietante, inquietarci una volta per sempre, restare indelebile nelle nostre teste: tutti. Tutti, nel piccolo e nel grande, ai vari livelli di responsabilità che ciascuno ricopre nella vita. In famiglia, a scuola, al lavoro, al governo, in Parlamento, in politica, nelle chiese, nelle moschee, nelle sinagoghe, nelle associazioni sportive e culturali, su internet. Si va dal like al retweet fino alla politica dei muri, dagli striscioni nei cortei o negli stadi ai titoli sui giornali.
Noi, anche oggi, abbiamo deciso di raccontarvi la speranza prima della paura. Perché ogni scelta conta. Abbiamo deciso di dare fiducia, già dai giorni scorsi, a questi ragazzi in marcia per un mondo più vivibile per tutti. Sì, conosciamo le obiezioni e ci pare di vederli, i sorrisetti sardonici e le alzate di spalle di chi non ci crede. D’accordo, non tutti avranno letto la Laudato si’ di papa Francesco, magari tra loro ci sarà anche chi non sa nemmeno che cosa sia. E, sì, ci saranno quelli che hanno aderito allo sciopero soltanto per saltare un giorno di scuola.
Ma hanno comunque scelto la speranza. Ovviamente qui non si tratta di stare dalla parte dei manifestanti o da quella dello stragista: nessuna persona sana di mente si spingerebbe a ipotizzare una simile alternativa. Però guardiamole, le facce sorridenti di quei ragazzini, in alcuni casi bambini, che ieri sono scesi in strada a Milano, Seul, Roma, New Delhi, Bologna, Helsinki e in 1.700 altre città nei cinque continenti.
Anche a Christchurch, dove la manifestazione è stata cancellata mentre stava cominciando, proprio a causa del doppio attentato. Poi guardiamo il volto gonfio di rabbia del killer nel filmato che egli stesso ha girato in diretta su Facebook per documentare la carneficina. E scegliamo quale seme vale la pena di annaffiare, ogni giorno.