Sapere amare lo sconosciuto. Paternità biologica e paternità sociale
Che la paternità spirituale, e più in generale quella sociale, siano oggi percepite come dotate di un primato su quella strettamente biologica non c’è alcun dubbio: credo che conosciamo tutti forme di affidamento a padri spirituali che non trovano analogie in tante esperienze estrinseche di paternità biologica. Dedicando l’anno che viene alla figura di san Giuseppe, con la lettera apostolica Patris corde, papa Francesco non solo ha voluto ricordarci questa profonda verità, ma l’ha anche in qualche modo 'istituzionalizzata' non solo all’interno della Chiesa, ma nel mondo. E di questo dobbiamo essergli grati.
C’è un profilo, però, che sancisce un primato assoluto della paternità biologica su quella sociale ed è un profilo che oggi viene facilmente ed erroneamente rimosso. È quello per il quale la paternità biologica può, come sappiamo, essere assolutamente non intenzionale. Ed anche nei casi in cui fosse davvero tale (quando cioè fosse vivamente desiderata dalla coppia e soprattutto dal padre), essa appare inevitabilmente connotata da una intenzionalità generica: si può volere ardentemente un figlio, non si può volere esattamente 'quel figlio'. La nascita di un bimbo, di qualunque bimbo, apre un orizzonte ipotizzabile, ma del tutto imprevedibile, crea una nuova dimensione nell’esistenza, crea doveri e obblighi assolutamente nuovi e asimmetrici e possibilità di scoprire dimensioni relazionali ed affettive del tutto inaspettate.
Riconoscere un figlio non significa soltanto proclamare pubblicamente la propria paternità e assumersene i conseguenti obblighi, ma significa in qualche modo modificare la propria identità e a volte (come avviene in contesti di altre culture, come per esempio quella islamica) perfino il proprio nome. Nello stesso tempo, negare il riconoscimento a un figlio nato fuori dal matrimonio significa per un uomo umiliare se stesso, misconoscendo ciò che la forza generativa della natura ha operato attraverso il suo corpo e utilizzando le sue pulsioni.
Qui si colloca quello che è un vero e proprio mistero, il mistero dell’amore genitoriale 'naturale '. Che la paternità sociale e ancor più quella spirituale possano accendere l’amore poco ci meraviglia, perché sappiamo che l’amore è sempre il frutto di un incontro assolutamente personale: come possiamo amare uno sconosciuto, del quale magari conosciamo le opere, le benemerenze, il carattere, ma del quale ignoriamo la fisicità, l’aspetto, il volto, il tono della voce? Ma che la paternità biologica possa indurre il padre, ancor prima della nascita del bambino, ad amarlo è davvero un enigma.
L’amore materno, ce ne danno testimonianza tutte le madri del mondo, può con molta ragionevolezza essere ricondotto all’esperienza della gestazione, che per nove mesi unisce strettamente i corpi della madre e di suo figlio; ma l’amore paterno quale fondamento può avere se non quello di una 'natura' che unisce il figlio al padre, trasmettendo nel figlio la 'stessa sostanza' del padre, come avviene nel mistero trinitario che unisce Cristo al Padre? Abbiamo un grande bisogno di meditare su questo mistero, seguendo gli inviti del Papa, e di risvegliare in tutti gli uomini la consapevolezza che la loro potenzialità generativa non può essere banalizzata come una mera eventualità naturalistica: essa manifesta (anche quando sembra nasconderla) una profonda verità sull’uomo, che quando viene accolta lo nobilita, ma che quando viene negata o rifiutata lo umilia irrimediabilmente.
Per questo ogni rapporto sessuale, con la sua intrinseca carica di generatività (anche nelle ipotesi in cui la generatività venga volutamente ostacolata) possiede una sua intrinseca sacralità, che sublima la sua dimensione fisica proiettando in esso una dimensione spirituale. Ed è ancora esattamente per questo che la generatività sociale e quella spirituale ci commuovono, perché vediamo in esse, come ben emerge dalla lettera apostolica del Papa, una straordinaria impronta del progetto familiare all’interno del quale Dio ci ha donato la vita.